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sabato 28 novembre 2009

Il giorno della Civetta

di toti


Ho rivisto qualche sera fa, lo davano alla 7, Il giorno della civetta, il dignitoso – non un capolavoro – film di Damiano Damiani, basato sul notissimo romanzo di Leonardo Sciascia.

Ma non voglio parlare del film. Voglio parlare invece dell’effetto che mi ha fatto il rivederlo. L’avevo visto, il film, una quarantina d’anni fa, più o meno quand’era uscito. E dopo, solo dopo, avevo letto il romanzo.

Alle prime immagini mi è venuto il sospetto che si trattasse di un altro film, non quello di Damiani. Il primo episodio, quello dell’uccisione di Colasberna, da cui si dipana poi tutto il film, mi sembrava tutto diverso da come lo ricordavo: Colasberna veniva ucciso mentre era alla guida di un grosso camion da cantiere. Che qualcun altro, oltre a Damiani, si fosse cimentato nella trasposizione in film dello stesso romanzo?

Ma mi resi presto conto che non era così. Gli attori erano gli stessi: Franco Nero nella parte del capitano dei carabinieri, e sopratutto una giovane e bellissima Claudia Cardinale, per la verità non sempre brillantissima nella recitazione. Il film dunque era proprio quello che avevo visto a suo tempo.

Perché allora avevo avuto quell’impressione? E come mai le immagini del primo episodio – solo di quell’episodio, ché il resto corrispondeva al mio ricordo – mi sembravano diverse?

Questi interrogativi mi vennero in mente più volte durante il film, ma non riuscivo a trovare le risposte. Così, finito lo spettacolo, cercai il romanzo, e trovatolo, cominciai a leggerlo. Mi bastarono poche righe dopo l’incipit per capire. Queste:

Il bigliettaio chiuse lo sportello, l’autobus si mosse con rumore di sfasciume. L’ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l’uomo vestito di scuro che veniva correndo; il bigliettaio disse all’autista – un momento – e aprì lo sportello mentre l’autobus ancora si muoveva. Si sentirono due colpi squarciati: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul predellino, restò per un attimo sospeso, come tirato su per i capelli da una mano invisibile; gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamente si afflosciò.

Ecco, era questa la scena che ricordavo dell’uccisione di Colasberna. Ma non era quella del film. Semplicemente, nella mia memoria la sequenza cinematografica era stata sostituita da quella descritta da Sciascia. Forse perché è una descrizione magistralmente breve, e proprio per questo di grande efficacia. Un vero pezzo di bravura, che in pochissime parole rappresenta la morte del malcapitato con un ralenti così straziantemente lungo che – credo – nessuna macchina da ripresa avrebbe potuto far meglio.

Scherzi della memoria.

4 commenti:

Solimano ha detto...

Toti, benvenuto fra noi.
Allo strano rapporto fra libri e film mi sono abituato in "Abbracci e pop corn", il mio blog sul cinema, inteso come esperienza, non come recensione.
Ti risparmio una serie di considerazioni, dico solo che ritengo che fare confronti e graduatorie fra il libro e il film è a mio avviso sbagliato, perché essere scrittori di un libro e registi di un film sono due arti diverse. Credo che quello che aveva capito tutto fosse Alberto Moravia, che freddamente si faceva pagare bene per i diritti dei suoi libri e non metteva bocca nelle sceneggiature. Proprio per questo motivo film come "Gli indifferenti" di Maselli, "La provinciale" di Soldati, "La romana" di Zampa, "La ciociara" di De Sica, "La noia" di Damiani (e ce ne sono altri, sempre tratti da Moravia) sono dei buoni film, a volte ottimi: i registi si muovono con maggior libertà pensando solo al loro film, senza timidezze ed autocensure verso il libro.
Ma il mettere più in alto i libri e più in basso i film è uno sport che non finirà mai, perché sono i letterati ad avere il boccino in mano.

grazie Toti e saluti
Solimano

Claudio ha detto...

molto bello il film, e staordinario il romanzo del quale ricordo una categorizzazione degli uomini che, a mio modesto parere, bisogna sempre cercare di applicare, anche nei propri confronti, senza indulgenze:
ommini
mezzi ommini
omminicchi
quaqquaraqquà

Solimano ha detto...

Claudio, bella l'osservazione che quella categorizzazione bisognerebbe saperla applicare nei propri confronti, senza indulgenze: aspiro ad appartenere ai mezzi ommini, vediamo se ci riesco.

saluti
Primo

Anonimo ha detto...

Caro Primo, lungi da me riprendere l'annosa questione della supremazia tra romanzo e film che ne viene tratto, sulla quale peraltro condivido il tuo punto di vista. Né d'altra parte il soffermarsi su una singola sequenza potrebbe mai essere invocato come indizio pro o contro una delle due posizioni. Ho voluto soltanto raccontare come - e la cosa ha sorpreso anche me - nella mia mente la sequenza originale di Sciascia si fosse talmente radicata, da farmela ricordare come coincidente con quella del film. Cosa che invece non era. Ed ho pensato che l'origine del qui pro quo potesse essere l'efficacia - indubitabile - della descrizione.

A margine di queste considerazioni mi permetto di osservare, da...esperto, che in siciliano si direbbe omini e ominicchi (una sola m). E che nel testo originale Sciascia usa l'italiano, ed enumera cinque categorie - e non quattro, come ricorda Claudio: uomini, mezz'uomini, ominicchi, pigliainculo, e quaquaraquà.
Spero che ciò non induca Primo a cambiare aspirazione....

Toti