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mercoledì 17 febbraio 2010

La parata di sesta

di Claudio


Da giovane, molto giovane, tiravo di scherma, agonisticamente, cioè partecipavo alle gare ufficiali, locali e nazionali, per la assegnazione dei titoli annuali. Smisi assai presto, perché a vent’anni mi ammalai seriamente, e quando mi ripresi la debolezza fisica e la necessità di recuperare il tempo perduto negli studi (studiavo ingegneria), mi imposero di abbandonare.


Però molte cose apprese sulla pedana (la scherma richiede un continuo ed intenso allenamento) sono diventate parte integrante del mio comportamento fisico (la cosa vale per tutti gli schermidori): sono riflessi condizionati.

Tiravo di sciabola. Pur avendo le tre armi (fioretto, spada e sciabola) una base comune, ogni arma ha le sue peculiarità. In particolare la sciabola, e solo la sciabola, prevede la parata di sesta, che è una parata di passaggio: mentre le altre parate, una volta impostate, parano tutti (o meglio, quasi tutti) gli attacchi rivolti alla sezione del corpo che esse presidiano, la parata di sesta funziona solo di passaggio: para solo se il suo movimento è bene sincronizzato con la manovra di attacco, ed anziché fermare la lama dell’avversario provocandone il rimbalzo, la sposta. Così è a livello accademico: nella pratica degli incontri in pedana la sesta è usata meno delle altre. In alcune sale di scherma, in particolare in quelle la cui scuola privilegia il movimento rispetto alla tecnica, essa non viene nemmeno insegnata.


Come dicevo l’allenamento porta riflessi condizionati, anche a livello di concatenamento di idee.

Molte volte, specie recentemente, mi è capitato di pensare che alla sinistra italiana manca la conoscenza teorica e pratica della parata di sesta. Di fronte ad attacchi incomposti, ma che ricalcano sempre un vecchio clichè (tutti figli dell’ormai patetico slogan che i comunisti sono trinariciuti) una parata di sesta, che sposta la lama avversa fuori bersaglio attraverso una precisa sincronizzazione con i prevedibili movimenti dell’avversario, potrebbe essere auspicabile.

3 commenti:

Solimano ha detto...

Claudio, ho capito. Se un eventuale dissenso insanabile ci porterà ad una sfida a duello, meglio la fionda che la spada (e la sciabola), per me.

Però quello che dici è ambiguo: sono i leader che non conoscono la sesta e quindi non la utilizzano o è una parte della base (la cosiddetta base...) che reagisce sempre e comunque con usuali ed autolesionistiche giaculatorie?

Ma torniamo ai leader: anche se fosse vera la seconda ipotesi che ho fatto, un vero leader (non un re travicello) dovrebbe avere l'utile coraggio di una temporanea ed indispensabile impopolarità.
Non li vedo proprio...

grazie Claudio e saluti
Primo

ottavio ha detto...

Il problema non è tanto di assumere una posizione popolare o impopolare, quanto quella di poterla comunque esprimere ed illustrare. Già c'è la difficoltà di accedere ai canali di comunicazione con la ggente, ma se i nostri arrivano impreparati saranno sempre impallinati dagli avversari. I quali, secondo me, fanno tesoro di corsi di formazione del tipo "Come impedire all'avversario di comunicare il suo messaggio" che evidentemente colui che vuole gestire l'Italia come un'azienda li costringe a frequentare.
Quelli del centrosinistra da questo punto di vista sono molto naif, per usare un eufemismo.
Dovrebbero, come gli schermidori, sottoporsi allo studio e alla preparazione delle tecniche di comunicazione e dibattito per non dover soccombere, dialetticamente parlando, come spesso succede.
Vediamo chi sarà il primo ad applicare una parata di sesta.

Giorgio

Anonimo ha detto...

a me basterebbe che sapessero applicare
almeno la prima e la seconda,
ma evidentemente e' troppo pretendere.

possibile che nessuno dei nostri strateghi
sia mai riuscito a insegnare
nemmeno a Romano Prodi,
mai abbastanza rimpianto,
che occorre far l'amore con la telecamera
e non con l'intervistatore,
oppure ai nostri comunicatori
che i manifesti di 20 pagine sono controproducenti?