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giovedì 18 febbraio 2010

La lingua salvata

di giorgio casera

Amici e conoscenti che mi sentono parlare con i miei fratelli ci ascoltano sorpresi, piacevolmente sorpresi, perchè capiscono che parliamo in dialetto, il che non è più tanto frequente, e perchè questo dialetto è tanto antico quanto musicale.
E’ il dialetto del Basso Agordino, una delle valli di ingresso nelle Dolomiti, nel Bellunese. E’ un dialetto di derivazione ladina (siamo molto vicini alle aree ladine dell’Alto Adige), sia pure con mescolanze con il veneto di pianura.
Lo abbiamo imparato negli anni della guerra quando mio padre decise prudentemente di sfollare al paese dei nonni per evitare pericoli per la numerosa famiglia (eravamo nove figli!). Dal 1943 al 1947 i grandi appresero il dialetto e lo affiancarono all’italiano come conoscenze linguistiche, i piccoli semplicemente sostituirono l’italiano col dialetto (con grande rammarico di mia madre, che sospirava “Parlaié cosita ben l’italian”).
E’ interessante notare che quando torniamo al paese qualcuno ci dice: “Ehi, parli come mia nonna”, perchè il nostro linguaggio è rimasto quello degli anni ’40, non si è evoluto rimanendo confinato tra le mura di casa. Al paese, passato da un’economia esclusivamente agro-pastorale ad una basata su turismo e fabbrica (occhialeria), il linguaggio ha subito la conseguente trasformazione.


Alla fine del 1947 ripartimmo dal paese (vedi cartolina) per raggiungere la sede di lavoro di mio padre, ma a quel punto la nostra lingua di casa era il dialetto, senza eccezioni. L’italiano era la lingua “esterna”. E così è ancora oggi, ma, ahimè, questa isola linguistica avrà la durata della nostra vita: i nostri figli, nati e cresciuti in città non hanno mai avuto lo stimolo per impararlo (e noi non abbiamo insistito troppo). Quando ci sentono parlare un pò ci capiscono, ma sempre con un’aria beffarda (come a dire: matusa anche nel linguaggio).
Quindi questa singolare esperienza alla fine sarà durata una sessantina o settantina d’anni.


Ebrei di Cordova


Leggo su La lingua salvata (appunto!) di Elias Canetti, che i discendenti degli Ebrei di Cordova, ai primi del ‘900 parlavano ancora spagnolo. Gli avi di Elias, dopo la cacciata dalla Spagna, seguita alla Reconquista dei califfati arabi da parte dei re cattolici, si erano rifugiati in Turchia e in seguito (a partire dal nonno di Elias) in Bulgaria. Nella città bulgara, un porto sul Danubio, dove Elias nacque, si parlavano sette lingue, ma la sua (prima) lingua madre fu lo spagnolo.
Se pensiamo che gli Ebrei spagnoli furono espulsi poco dopo il 1400 quell’isola linguistica è durata almeno 500 anni!
Che dire?
Chapeau!

3 commenti:

Solimano ha detto...

Uno dei drammi culturali italiani è che nel senso comune anche dei professori c'è che i tre grandi poeti dell'Ottocento siano stati Leopardi, Foscolo, Manzoni mentre sono Leopardi, Porta, Belli.

E quasi nessuno sa che è esitito nel Cinquecento Teofilo Folengo, col suo latino macaronico. Ho fatto due post in Stanze all'aria e mi sono accorto di com'è attuale il Folengo (che oltre tutto è gustosissimo).

grazie Giorgio e saluti
Primo

Anonimo ha detto...

per la precisione,
siamo stati cacciati dalla Spagna nel 1492,
l'anno stesso della scoperta dell'America.

forse per questo
mi e' riuscito di andare negli Stati Uniti nel 1984,
ovvero nel 492* anniversario del 1492,
mentre per rimetter piede in Spagna
ho dovuto aspettare il 1992.
dopo 500 anni si puo' anche passarci sopra.
purche´ non si dimentichi.

ecco, questa difficolta' di dimenticare
puo' aver influito sugli ebrei di Cordova
nel mantenere la lingua....

Solimano ha detto...

Va vista la grandezza, ma anche la piccineria: vorrei vedere quanti di quelli che oggi in Brianza e più ampiamente in Lombardia fanno tuuta le storie delle culture invece di parlare semplicemente di cultura hanno letto Carlo Porta o L'Adalgisa di Carlo Emilio Gadda.

saluti
Primo