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venerdì 25 marzo 2011

Requiem per tre faggi

di alberto


 La domanda è: quanto è lecito dispiacersi per la morte di un albero? Tanto più se gli alberi sono tre.
Avete presente il pratone della Villa Reale, quello dove in giugno fanno i fuochi artificiali? Se guardate dal salone grande della Villa, di fronte vi trovate due belle querce, un po' segnate dagli anni, ma che fanno sempre la loro figura. Poi, volgendosi appena a sinistra, il cannocchiale grande: oggi inquadra una palazzina che, grazie a google maps, senza nemmeno alzare il sedere dalla poltrona, si scopre trattarsi della sede di una ditta di ricambi per carrozzerie al civico 168 di via Lecco. In attesa che crescano gli alberelli che dovrebbero chiudere lo sfondo; io ci avrei piantato anche qualche pioppo a crescita molto rapida, salvo toglierli una volta cresciuti gli alberi più lenti. Più a sinistra ancora si vede un grande faggio pendulo, anzi, a guardar bene, sono una decina di faggi penduli: tutti insieme simulano la chioma che aveva l'unico maestoso albero dello stesso tipo che esisteva ai tempi miei, e sotto il quale si poteva giocare per pomeriggi interi.
All'estrema sinistra del prato c'era uno straordinario gruppo di tre faggi rossi, piantati un po' troppo vicini tra loro. Crescendo fino a diventare giganteschi esemplari adulti, avevano dato luogo ad una chioma unica, avendo ognuno rinunciato a sviluppare rami nella direzione degli altri due. Perché ne parlo al passato pur essendo ancora apparentemente al loro posto? Perché, ahimè, uno dei tre si è reso defunto, una specie di infarto. Me ne sono accorto lo scorso autunno, quando le foglie, invece di appassire e cascare una alla volta come sempre, si sono come contratte, rimpicciolite, e seccate tutte insieme. E anche gli altri due stanno assai poco bene. Qualche giorno fa, passeggiando come il solito da quelle parti, ci ho trovato un giovane agronomo, che non solo ha confermato il mio referto autoptico, ma mi ha informato sul pessimo stato di salute dei due alberi superstiti: mi ha mostrato il tracciato di una specie di elettrocardiogramma, non lo sapevo, ma si eseguono prove penetrometriche come quelle per verificare la portanza dei terreni: in un albero sano il tracciato è una spezzata in una zona intermedia della strisciolina di carta; in un albero malato la spezzata è tutta nella parte inferiore, verso lo zero: l'ago cioè non incontra resistenza alcuna alla penetrazione. Gli ho detto che per me era un grande dispiacere, come la scomparsa di una persona cara. Mi ha risposto dicendomi di non bestemmiare, che gli alberi non sono persone e che la pietà bisogna riservarla agli umani. Sul momento mi sembrava mi avesse convinto, ma ripensandoci non sono più tanto sicuro. In forme diverse ci si affeziona moltissimo agli animali, perché allora non anche alle piante?
per le foto ringrazio la mia sorellina Dida Paggi

venerdì 18 marzo 2011

Lode a Vedano (in Musica)

di giorgio casera

Da sempre sono attento ai programmi culturali organizzati dall’amministrazione comunale e da circoli culturali di Vedano, sia per la vicinanza, e quindi la comodità di partecipazione, sia per l’obiettivo interesse che suscitano. Per quanto Vedano sia un comune molto piccolo, riesce ad offrire, di volta in volta, del buon teatro, qualche interessante proiezione cinematografica, e soprattutto della buona musica: non soltanto perché inserita in programmi “intercomunali” come Brianza Classica o Brianza Jazz, ma anche perché offre tutti gli anni un suo autonomo programma di concerti di classica.
Caratteristica principale di questi programmi è la scelta di solisti o complessi giovani, all’inizio della carriera. Probabilmente è anche una questione di costi, ma poiché si tratta di artisti molto promettenti la qualità non ne risente. Questi giovani poi, freschi di studio al Conservatorio, hanno ben presenti la musica delle origini e nello stesso tempo sono molto attenti alle tendenze attuali.


Spirabilia Quintet

Così può capitare di ascoltare brani di compositori minori del Barocco così come le “contaminazioni” tra musica “colta” e le espressioni più “popolari” del ‘900, come jazz, tango e musica afro-caraibica. Sono stati proprio due complessi, esibitisi negli ultimi due concerti, ad esprimere queste interessanti contaminazioni. Il primo, lo Spirabilia Quintet, un complesso di fiati (flauto, oboe, clarinetto, fagotto e corno inglese), ha eseguito brani di Valerie Coleman (Afro-Cuban Concerto) e Paquito de Rivera (Aires Tropicales) (i titoli danno già un’idea dell’area musicale), due compositori viventi, l’una americana e l’altro cubano, che scrivono musica classica carica dei loro riferimenti culturali. Il “portavoce” del quintetto nella presentazione ha affermato che il loro obiettivo è quello di “confrontarsi con opere in particolare del Novecento e dell’Ottocento senza pregiudizi di stili, carattere e provenienza, guidati da un unico e puro criterio estetico”, miele per le orecchie degli ascoltatori. In linea con quanto dichiarato hanno anche eseguito la Suite dal Porgy and Bess di Gershwin, risultata molto originale e piacevole suonata da un quintetto di fiati.


Trio Ebano

Il secondo complesso, il Trio Ebano (pianoforte, violoncello e clarinetto), si presenta con le stesse credenziali: preparazione classica e ricerca dei lineamenti “etnici” nella musica del nostro tempo. Qui gli autori sono D. Schnyder (Blues for Schubert e A Friday night in August), svizzero presto trapiantato negli Usa, e ancora Paquito de Rivera (Danzon e Afro). Bravi i suonatori e godibilissimi i brani. Poi, quasi a scusarsi di aver interpretato degli autori “difficili”, hanno infilato una serie di esecuzioni basate del tango di Piazzolla (Le quattro stagioni, Oblivion, Libertango) che hanno entusiasmato il numeroso (bisogna dirlo!) pubblico presente. Il bis di prammatica è stata la classica Danza ungherese n. 2 di Brahms che ha vieppiù infiammato la platea (ma non ce n’era bisogno!).
E allora, peccato per gli assenti, e viva Vedano!

lunedì 7 marzo 2011

Salvatore Carrubba - L'Unità d'Italia capolavoro politico di Camillo Benso di Cavour

Gauss
Sala piena al Binario 7 per l’incontro di giovedì scorso con Salvatore Carrubba, invitato da Novaluna per ricordare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Se ne è compiaciuto l’assessore Alfonso Di Lio nel suo indirizzo di saluto, lieto di constatare come dall’intesa collaborativa fra le associazioni culturali monzesi da lui fortemente incoraggiata sia nato un programma di eventi celebrativi che riscuotono l’interesse e la partecipazione della cittadinanza.
Salvatore Carrubba è uno studioso di economia e di politica, un intellettuale che non si sottrae all’assunzione di importanti responsabilità amministrative, gestionali, politiche. E’ stato fra l’altro Direttore de Il Sole-24 Ore e Assessore alla Cultura del Comune di Milano. Attualmente è Presidente dell’Accademia di Brera.
L’eloquio di Carrubba è chiaro ed elegante, privo di enfasi retorica. Inizia osservando che oggi l’unificazione degli Stati Italiani, che per secoli è stata evocata come un’utopia e ha dato luogo alla creazione di uno dei pochi Stati liberali e democratici del tempo, viene sottoposta ad un processo di revisione critica, da alcuni anche di svilimento e di dileggio. Il Risorgimento, come la Rivoluzione francese, come i conflitti nazionali, religiosi e dinastici in Gran Bretagna, come tutti i passaggi cruciali della storia dei popoli non è stato esente da fatti dolorosi e delittuosi, che tuttavia non impediscono di riconoscerlo e onorarlo come la vicenda fondante dell’Italia moderna. Non va dimenticato che, in alternativa al Regno unitario di Vittorio Emanuele II, il destino politico dei territori e delle popolazioni italiane sarebbe stato, nel migliore dei casi, la confluenza in una federazione di staterelli sotto l’egida del Papato, cioè di una delle monarchie più autoritarie e reazionarie, nel peggiore di ritrovarsi propaggini periferiche delle potenze europee, il Piemonte un satellite della Francia, la Sicilia e il Sud una sorta di grande Gibilterra al servizio dell’Inghilterra, il Lombardo-Veneto una provincia austro-tedesca.
Carrubba, liberale per formazione e per convinzione, considera che il vero artefice di quell’evento epocale, da molti definito un “capolavoro”, che fu l’unificazione dell’Italia in un Regno di stampo moderno, liberale e democratico, sia stato Camillo Benso di Cavour, per la cui figura coltiva ammirazione di politico e interesse di studioso.
Di famiglia ricca e aristocratica, il giovane Cavour è una “testa calda”, animato da propositi così radicalmente riformisti da farlo pericolosamente avvicinare ai movimenti rivoluzionari. Lunghi e ripetuti viaggi in Francia e in Inghilterra provocano in lui un profondo cambiamento che lo porta ad aborrire la violenza rivoluzionaria e a farsi paladino di un liberalismo conservatore in politica, progressista e riformatore in economia, cui rimarrà fedele per tutta la vita. Una virata politica senza alcuna venatura di cinismo opportunistico, sostenuta invece da un solido sistema di valori, da una visione del mondo ispirata ad ideali di libertà. Carrubba ricorda in proposito che Gramsci riconosce in Cavour un conservatore molto più autentico e coerente di Giolitti.
Prima di entrare in politica (allora non si “scendeva” in politica) Cavour si afferma come importante e coraggioso imprenditore. Con robusti investimenti in macchine agricole e moderni metodi di concimazione incrementa la produzione delle sue tenute, fa fortuna con il commercio delle derrate alimentari, partecipa alla costituzione della Società dei molini di Collegno, fonda la Banca di Torino.
Trentasettenne, viene eletto alla Camera dei deputati del Regno di Sardegna e parte da lì la sua straordinaria vicenda politica che si sviluppa in poco più di un decennio, fino al 1861 quando muore da Presidente del Consiglio del Regno d’Italia.
Cavour si accredita come il campione del liberalismo moderato, favorevole alla promulgazione dello Statuto, fautore della liberalizzazione degli scambi, abolitore dei dazi, promotore dell’incremento delle infrastrutture, principalmente delle ferrovie, avversario del fronte cattolico reazionario. Attivissimo, intelligente e volitivo, insieme idealista e diplomatico, molto saldo anche contro il Re che non vuole inimicarsi il Papa, si mette a capo della maggioranza anticlericale, e ottiene l’abolizione dei privilegi ecclesiastici. Il suo celebre motto “Libera Chiesa in libero Stato” esprime il primato della libertà di coscienza e condanna la sovrapposizione dei poteri civile e religioso. Sempre fedele a se stesso, si dichiara assertore della libertà di stampa nella convinzione che ogni tipo di censura produce pessimi effetti.
In rapida e avvincente successione Carrubba percorre le tappe, ora esaltanti ora tormentate, della vita politica di Cavour. Diventato Ministro dell’Agricoltura, della Marina e delle Finanze, non esita a stipulare un accordo (Connubbio) con il centrosinistra di Urbano Rattazzi per scalzare il governo reazionario di Massimo D’Azeglio. Costretto a dimettersi, nel 1852 parte per un viaggio di alcuni mesi a Londra e a Parigi, dove entra in rapporti di familiarità con Napoleone III, una vicinanza che si rivelerà determinante per i destini del Risorgimento italiano.
Al ritorno in Piemonte, riceve dal Re l’incarico di formare un nuovo Governo. Vincendo le resistenze di La Marmora e dello stesso Re decide di inviare un corpo di spedizione di 15000 uomini, al fianco di Francia e Gran Bretagna contro la Russia, alla Guerra di Crimea, dove i bersaglieri si distinguono nella battaglia della Cernaja. Siede con i vincitori al congresso di Parigi del 1856, dove non incassa risultati territoriali, ma ottiene di porre la “questione italiana”, la necessità di un riassetto politico che risponda alle speranze delle popolazioni.
L’intesa con Napoleone III lo porta all’accordo segreto di Plombières, con il quale patteggia la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia per la conquista del Lombardo-Veneto. Ne segue nel 1859 la II Guerra d’Indipendenza, Magenta, Solferino, San martino e l’armistizio di Villafranca, che Napoleone III conclude con Francesco Giuseppe concordando l’annessione al Regno di Sardegna della sola Lombardia. La notizia di questo accordo, stipulato a sua insaputa, scatena uno di proverbiali accessi ed eccessi d’ira di Cavour, che non risparmia la sua acrimonia nemmeno al Re e si dimette. Viene richiamato pochi mesi dopo, ottiene dalla Francia il via libera all’annessione dell’attuale Emilia Romagna e della Toscana e firma il trattato di cessione di Nizza e della Savoia.
Nei confronti di Garibaldi (come di Mazzini) nutre diffidenza e avversità , ostacola la spedizione dei Mille anche contro la volontà di Vittorio Emanuele, pronto a prendere tutto ciò che di buono poteva venire dall’impresa. Pur riconoscendo in Garibaldi un’icona risorgimentale, il progetto di unificazione dell’Italia del diplomatico sabaudo Cavour non può che scontrarsi con quello del rivoluzionario popolare Garibaldi. Di fronte al fatto compiuto Cavour aspetta però il momento propizio e pretende il plebiscito del 1960 che sancisce l’annessione immediata di Napoli e della Sicilia.
Il 17 marzo del 1861 il Parlamento italiano unitario decreta l’unificazione politica di gran parte della penisola proclamando per il Regno di Sardegna l’assunzione del nome di Regno d’Italia. Cavour muore dopo qualche mese, il 6 giugno del 1861.
L’attualità di Cavour, ci ricorda Carrubba, è quella di un politico rispettoso del Parlamento, capace di interpretare al meglio la tradizione liberal democratica e di creare uno Stato ammirato nel mondo per la modernità del suo ordinamento. E a suggello della sua relazione cita le parole dello storico Rosario Romeo: “ Il progetto politico istituzionale realizzato con lo Stato unitario fu più vicino a quello ideato da Cavour che a quello di qualunque altra forza che abbia partecipato al Risorgimento”.

Gauss

domenica 6 marzo 2011

In memoria di Primo

di alberto

Ci siamo.
Il libro in memoria di Primo Casalini è pronto.
Va in stampa i primi giorni della prossima settimana
e uscirà in tempo per il primo anniversario della sua scomparsa.
Senza false modestie ci sembra sia venuto molto bene.
Grazie al lavoro eccellente e prezioso
di Marta Viola e Susanna Canuti,
già autrici per noi della grafica de I fiori del Parco
che abbiamo pubblicato qualche anno fa,
avrà una veste molto elegante.
Come annunciato tempo fa
raccoglierà sia le Novellette degli odori che La grande bua.
Le prime riguardano una serie di racconti il cui filo conduttore è di natura olfattiva,
le seconde invece relative al tema della depressione,
che Primo ha conosciuto per un periodo della sua vita,
e che ha indagato con il consueto acume e sense of humour.

Il libretto, di centoventi pagine,
stampato in bianco e nero per esigenze economiche,
avrà un costo di 10 € a copia.
Vi avviseremo sulle modalità della presentazione.
Chi, oltre a quelli che già si sono messi in nota,
volesse prenotarne un certo numero di copie
è pregato di comunicarlo tempestivamente al nostro @ndirizzo:
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il nostro codice fiscale è 94575770154
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