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giovedì 7 aprile 2011

Prose militari di Garibaldi

di Dario


Ho rimesso casualmente le mani su un libretto in 32°, rilegato in similpelle di circa 200 pagine, dal titolo "GARIBALDI – Prose militari" con una interessante prefazione di un certo A.C., edito dall’Istituto Editoriale Italiano agli inizi del secolo scorso. Il contenuto è illuminante per inquadrare la figura del Generale anche sotto l’aspetto dei rapporti intercorsi con gli altri protagonisti delle battaglie del Risorgimento italiano. È una prosa a volte semplice e stringata e a volte declamatoria, non scevra di qualche errore di grammatica e riguarda un arco temporale che inizia dai fasti di Montevideo (1846) per arrivare alla guerra franco - prussiana (1870). Nel caso che, oltre a quella del sottoscritto, il contenuto del libro possa soddisfare la curiosità di qualcun altro, riporto alcuni stralci di tali scritti.

Il primo scritto è un messaggio alla Legione Italiana dopo la battaglia di S.Antonio di Salto presso Montevideo nella guerra di liberazione dell'Uruguay: "Salto. 10 febbraio 1846."Fratelli, Ieri l'altro, sui campi di Sant'Antonio, ad una lega e mezzo dalla città, abbiamo sostenuto il più terribile ed il più glorioso dei nostri combattimenti. Le quattro compagnie della nostra Legione ed una ventina uomini di cavalleria, rifugiati sotto la nostra protezione, non solo si difesero contro mille e duecento uomini di Servando Gomes, ma hanno interamente distrutta la fanteria nemica che li aveva assaliti in un numero di trecento uomini. II fuoco, cominciato a mezzogiorno, finì alla mezzanotte. Né il numero dei nemici, né le ripetute cariche, né le imponenti masse di cavalleria, né gli attacchi dei fucilieri a piedi, hanno potuto sgomentarci; sebbene non avessimo altro rifugio all'infuori di un hangar in rovina, sostenuto da quattro piloni, i legionari hanno costantemente respinti gli assalti accaniti del nemico: tutti gli ufficiali si sono fatti soldati in quella giornata. Anzani, che era rimasto al Salto ed al quale il nemico aveva imposto l'ordine di arrendersi, rispose colla miccia in una mano, il piede sulla santa Barbara della batteria, sebbene il nemico l'avesse assicurato che eravamo tutti o morti o prigionieri. Noi abbiamo trenta morti e cinquanta feriti: tutti gli ufficiali furono colpiti, e meno Scarrone, Saccarello il maggiore e Traversi, tutti leggermente. Oggi io non darei il mio nome di legionario italiano per un mondo d'oro. A mezzanotte cominciammo a ritirarci nella direzione del Salto; eravamo poco più di cento legionari sani e salvi. Quelli che erano feriti leggermente camminavano alla testa, trattenendo il nemico quando tentava molestarci da vicino.Oh! è un combattimento che merita d'essere inciso in bronzo. Una voce di maledizione sì alzerà sul capo dello storico di questa guerra se non mette questo combattimento primo tra i primi ed il più onorevole. Addio: vi scriverò più a lungo un'altra volta. Vostro GIUSEPPE GARIBALDI."



Ecco l'appello che Garibaldi rivolge ai giovani dopo l’infausta conclusione della battaglia di Custoza nella prima guerra di indipendenza: "ALLA GIOVENTÙ La guerra ingrossa: i pericoli aumentano. La patria ha bisogno di voi. Chi vi indirizza queste parole ha combattuto per onorare, come meglio poteva, il nome italiano in lidi lontani; è accorso, con un pugno di valenti compagni, da Montevideo per aiutare anch’egli la vittoria patria e morire su terra italiana. Egli ha fede in voi: volete, o giovani, averla in lui? Accorrete: concentratevi intorno a me; l’Italia ha bisogno di 10, di 20 mila volontari; raccoglietevi da tutte parti in quanti voi siete: e all’Alpi! Mostriamo all’Italia, all’Europa, che vogliamo vincere, e vinceremo. G. Garibaldi"

Fra gli scritti di argomento non solo militare è notevole una lettera inviata alla moglie durante la Repubblica Romana nella quale, alle passionali espressioni per le vicende guerresche, si aggiungono seppur sbrigativamente teneri sentimenti per Anita e la sua famiglia: "Roma, 21 giugno 1849. Lo so che sei stata e sei forse ancora ammalata: voglio veder dunque la tua firma e quella di mia madre per tranquillizzarmi. I Galli-frati del cardinale Oudinot si contentano di darci delle cannonate e noi quasi per perenne consuetudine non ne facciamo caso. Qui le donne e i ragazzi corrono dietro alle palle e alle bombe gareggiandone il possesso. Noi combattiamo sul Gianicolo e questo popolo è degno della passata grandezza. Qui si vive, si muore e si sopportano le amputazioni al grido di viva la Repubblica. – Un’ora della nostra vita in Roma vale un secolo di vita. Felice mia madre di avermi partorito in un’epoca così bella per l’Italia. Questa notte 30 dei nostri, sorpresi in una casetta fuori dalle mura da 150 Gallo-frati, se l’hanno fatta a baionettate; hanno ammazzato il capitano, 3 soldati, 4 prigionieri del nemico ed un mucchio di feriti. Noi un sergente morto ed un milite ferito. I nostri appartenevano al reggimento Unione. Procura di sanare, baciami mamma, i bimbi. Menotti mi ha beneficato di una seconda lettera, gliene sono grato. Amami molto. Tuo G: Garibaldi."



Per finire, una lettera al triumviro Giuseppe Mazzini per esortarlo ad agire al fine di aumentare l'organico dell’esercito di volontari per il rafforzamento della Repubblica Romana: "Porta San Pancrazio, 14 giugno 1849. Dio ci favorisce visibilmente, noi siamo più forti di ieri; abbiamo profittato della notte per risarcire i danni ed ora ci protegge la nebbia per la continuazione dei nostri lavori. Date una scossa a questa macchina: aumentate l’esercito, non trepidate davanti a nessuna considerazione, mettetemi in istato di potere, fra alcuni giorni, uscire in campagna con alcune migliaia di uomini, noi daremo la sveglia alle provincie d’Italia, ma bisognai costo provare che possiamo più che difendere Roma. Il morale dei nostri militi è stupendo; la guerra, le tempeste di palle, bombe, ecc. sono per loro un giuoco. Fate, per Dio! Vostro G. Garibaldi"

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