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giovedì 17 giugno 2010

Basilicata coast to coast

di Toti
1. Pietrapertosa


Ho rubato il titolo al simpatico film di Rocco Papaleo, ma non è mia intenzione parlare di cinema. Parlerò invece della Basilicata, interessante regione italiana, che, come i protagonisti del film, ho attraversato appunto “coast to coast” qualche anno prima di loro. Questa bella e varia regione è, purtroppo, quasi totalmente trascurata dal turismo, che per lo più si ferma al mare di Maratea, con scarsissime puntate all’interno, quasi sempre a Matera, per visitare i rinomati “sassi”. Eppure è proprio l’assenza di turismo che dovrebbe costituire uno stimolo alla visita: assenti le grandi folle, la si può visitare quasi ovunque anche in agosto, quando “gli altri” si affollano sulle spiagge. Per giunta, considerata l’altitudine media del suo territorio, d’estate non si soffre nemmeno caldo eccessivo.

Caratteristica della Basilicata, condivisa a dire il vero con molte altre regioni italiane – in particolare quelle appenniniche – è la presenza di molte ed alte colline isolate. Su quasi tutte le quali, presumibilmente per ragioni di sicurezza, sono sorte nel corso dei millenni le città. Le quali appaiono perciò, al turista che percorre le valli, come quasi inaccessibili. Ed in effetti ancora oggi, malgrado le automobili – o forse proprio a causa di queste – esse sono di non facilissimo accesso: le vedi lì, arroccate sulle cime, e le strade sono strette. E, una curva dopo l’altra, alla fine ti accorgi che ci hai messo un bel pò di tempo a raggiungerle.

Di cose belle e interessanti in Basilicata ce ne sono moltissime; e quindi ne dovrò fare una selezione. Darò la preferenza alle città storiche, che – come sempre – sono quelle che danno un sapore particolare ai luoghi italiani, e che consentono di distinguerli gli uni dagli altri; ma, per le stesse ragioni, non trascurerò taluni siti particolari.

2. Melfi

Cominciamo da Melfi, città – come molte altre della regione – d’impronta medioevale, adagiata su un’ampia collina, che regala a chi la guarda da lontano un bel colpo d’occhio. E’ interessante percorrerne a piedi i vicoli e visitarne le chiese. Ma la cosa più interessante è il grande castello che domina la città.

Il castello fu uno dei luoghi prediletti da Federico II di Svevia, che qui passava spesso le sue estati, praticando nelle folte foreste del circondario il suo sport preferito: la caccia col falcone, di cui era espertissimo, tanto da scriverne un trattato, che a quel che pare è ancora oggi un riferimento importante per i cultori di quell’arte. Lo spirito di Federico, peraltro, è di casa in tutta la Basilicata, e lo ritroveremo ancora. Ma è di casa anche in Puglia, in Campania e sopratutto in Sicilia, di cui egli fu re e dove passò gran parte della sua vita.

Il castello di Melfi è oggi sede di un interessante museo archeologico, molto ben tenuto, che ospita importanti reperti. C’è anche, in un piccolo ambiente cui si accede da uno dei cortili, un magnifico sarcofago in marmo del II secolo, trovato presso il vicino paese di Rapolla.

3. Ingresso al castello, un cortile interno, il sarcofago di Rapolla

La prossima tappa è Venosa, il cui cittadino più illustre è, ancora a oltre due millenni dalla sua nascita, il poeta Orazio, quello del monumentum aere perennius, le celeberrime Odi, ed in particolare le Odi Romane.
Il sito più importante di Venosa è quello del complesso della Trinità, che include la “chiesa antica”, databile al V-VI secolo, di cui è particolarmente interessante il portale d’ingresso, romanico.

4. Venosa. Scorcio della "chiesa incompiuta" e l'abside della "chiesa antica".

Ma la parte più affascinante è quella della cosiddetta “chiesa incompiuta”, una grande costruzione che avrebbe dovuto incorporare la chiesa antica. Iniziata nei primo secolo dopo il mille, non fu portata a termine. Una serie di bellissime mura, colonne, capitelli corinzi, un bel campanile “a vela”, tutti in ottimo stato di conservazione, svettano liberi contro il cielo, ed hanno un fascino particolare che il visitatore coglie immediatamente.

5. Venosa.In alto la zona archologica con il complesso della "chiesa incompiuta".
In basso un capitello corinzio e l'interno della "chiesa antica".

Infine si segnala per la sua imponenza, cui contribuiscono significativamente quattro grandi torrioni cilindrici, il Castello Aragonese (XV secolo), circondato, naturalmente, da un fossato.

6. Venosa, il castello aragonese

Da Venosa ad Acerenza la distanza è di poche decine di chilometri, e la strada, un susseguirsi di curve, è particolarmente panoramica. Si incontrano numerosissime pale eoliche, il cui aspetto “tecnologico” contrasta vivamente con l’ambiente circostante, che è tipicamente agreste.

7. Pale eoliche contro il tramonto

D’improvviso appare Acerenza, alta e isolata sulla cima di un colle che degrada lentamente in una miriade di campi coltivati. Chi ha la vista aguzza può già scorgere la cattedrale, alta sopra tutti gli altri edifici.

8. Acerenza da lontano e dall'alto

Quando finalmente si arriva in città e si accede alla parte più antica, che come sempre è quella attorno al duomo, si scoprono vicoli e vicoletti lindi e pittoreschi, portali curatissimi e graziose scale esterne che portano alle abitazioni. La gente è cordiale, e il fruttivendolo nel cui negozio sei entrato per comprare qualcosa ti chiede da dove vieni e se ti piace il paese: cose, queste, che credo chiedano ormai in pochissimi posti. Ma lui attende la tua risposta e si compiace visibilmente se gli dici che è tutto bello. E ti augura buona permanenza quando ti congedi.

9. Acerenza. Nei pressi del duomo

La cattedrale romanico-gotica, costruita tra l’ XI ed il XIII secolo su una chiesa preesistente, è il monumento di gran lunga più importante del circondario. L’interno, liberato negli anni ’50 da impropri stucchi di epoca barocca, ha pianta poco comune in Italia, ma molto usata nelle cattedrali francesi: comprende infatti il cosiddetto peribolo – una sorta di corridoio in corrispondenza dell’abside, a continuazione delle navate laterali - con cappelle la cui presenza dà grande movimento alle strutture absidali esterne, che a me sono sembrate la parte più interessante del grande edificio. Qua e là, secondo l’uso del romanico, bianche sculture piccole e grandi di esseri mostruosi, o di putti, e qualche edicola, ad alleggerire l’aspetto severo della pietra con cui la chiesa ed il massiccio campanile sono costruiti.

10. Acerenza, particolari del duomo

Alcune decine di chilometri, e... centinaia di curve più in là, arriviamo alle cosiddette “dolomiti lucane”. Che in verità di dolomitico hanno ben poco: la roccia non è la chiara dolomia, ma grigia arenaria. Ciò tuttavia non toglie nulla alla bellezza delle loro guglie.

Il fascino di questi luoghi, però, oltre che dalle montagne, viene dai paesini: sembrano costruiti da un architetto capriccioso, che è andato a scovarsi di proposito i luoghi più scoscesi e, almeno ad un primo sguardo, più inaccessibili che la zona offrisse. Ed in effetti è storicamente provato che la scelta avesse obiettivi essenzialmente difensivi. Pietrapertosa è forse l’esempio che meglio illustra questa situazione: per arrivarci bisogna superare un breve tratto di una gola strettissima scavata nella roccia. Come si vede nella foto iniziale la cittadina è costruita quasi per intero sul ripido fianco di una di queste montagne – come una grande mano che la contiene nel suo palmo - e le case in certi punti hanno per muri la roccia viva. Quella foto non è scattata, come potrebbe sembrare, da un aereo; ma dalla cima della montagna, che si raggiunge percorrendo prima le strette e pittoresche viuzze del paesino, poi ripidi sentieri ed infine tozzi gradini scavati nella roccia viva.

11. Pietrapertosa, vicoli e gradini

Torniamo a valle e percorriamo verso est alcune decine di chilometri della superstrada Basentana, che con il fiume Basento si intreccia più volte lungo il percorso. Sulle cime i paesini, a destra ed a manca, si susseguono come a godersi il panorama verso valle; e vien voglia di andare a visitarli. Ma ci vorrebbero mesi, e non li abbiamo. Lasciata la comoda Basentana, e attraversata una zona di poco usuali rocce a forma di calanchi sabbiosi, ci arrampichiamo di nuovo per una quindicina di chilometri, fino a Craco.

12. Craco

Craco è un paese fantasma: nei primi anni 60, una vasta frana costrinse gli abitanti ad abbandonarlo. Ne parla, in una breve sequenza del suo film, anche Rocco Papaleo, che menziona anche la causa scatenante del disastro: la costruzione delle reti idrica e fognaria, che evidentemente non c’erano. Il che gli fa dire che, forse, il paese si ribellò fin d’allora al progresso.
Quasi tutti i resti di antiche costruzioni, che siano rimaste incompiute (come la “chiesa grande” di Venosa, già incontrata) o che – dopo, presumibilmente, un lungo periodo di servizio – siano state abbandonate per una ragione qualsiasi, traumatica come un terremoto, un’alluvione o la guerra, ma anche per il naturale invecchiamento che le ha reso inutilizzabili – suscitano sensazioni particolari. In Europa – non per nulla viene chiamato “il vecchio continente” - ce ne sono tante, e ne ho viste dovunque: in Francia, in Spagna, in Inghilterra, in Scozia. In Italia poi, terra di terremoti, ce ne sono moltissime. Ma queste di Craco mi hanno emozionato particolarmente.

13. Immagini di Craco

Se, sfidando il divieto che ammonisce di non farlo e le spine minacciose dei secchi arbusti che cercano di sbarrarti il passo, percorri quel che rimane delle sue strade, ti rendi conto che la vecchia Craco doveva essere bellissima: il posto – su uno sperone roccioso quasi librato nell’aria – le conferiva un panorama eccezionale sui calanchi di cui ho detto sopra; e c’erano le strade, le case, i campanili, le chiese, i palazzi, tutti di architettura pregevole, di origine medioevale. E t’immagini il dramma dei suoi abitanti costretti ad abbandonare la città dei loro genitori e dei loro nonni. Tanto più che il luogo in cui si sono trasferiti – Peschiera, poco più in basso – è, al confronto, e con ogni rispetto, quasi insignificante: un non luogo, piuttosto.

14. Matera

Matera non è lontana da qui, ed infatti ci arriviamo in breve tempo, percorrendo una strada per una volta con un numero ragionevole di curve. Matera è una grande città, ben più grande di com’era Craco. Eppure, vista da lontano, la sua struttura assomiglia a quella che Craco doveva avere ai suoi tempi; specie se la si guarda da nord, dalla parte della gravina (le “gravine”, numerosissime in Puglia – e qui siamo a pochi chilometri dal confine con la Puglia – sono, come le “cave” della Sicilia sud-orientale: valli - spesso veri e propri canyon - incise dai fiumi nel corso dei millenni). L’impianto generale è medioevale, e come in molte delle cittadine che abbiamo sin qui visitato, vicoli e stradine e scalinate e terrazze si susseguono in un ordine disordinato che è spesso tanto affascinante quanto assolutamente incompatibile con le “comodità” della vita odierna, e – in particolare – con l’automobile. Così che, com’è avvenuto quasi ovunque e non solo in Basilicata, attorno al vecchio centro urbano si è sviluppata la città nuova. Che è, naturalmente, molto più “ordinata” rispetto alla vecchia, con strade più ampie nelle quali le automobili si muovono meglio; ma allo stesso tempo non ha più il fascino di quella antica, che perciò rimane nel cuore di chi c’è nato.

Il centro antico, cresciuto attorno alla cattedrale, a Matera viene chiamato significativamente “la Civita”. Attorno alla Civita si è sviluppato il resto della città antica, costituita essenzialmente dai due rioni dei “Sassi”, il Sasso Barisano a nord ed il sasso Caveoso a sud rispetto alla Civita, ma che guardano entrambi verso la gravina. L’origine dei Sassi si perde nella notte dei tempi, così come continua nei secoli è stata la loro manomissione perché si adattassero alle esigenze delle varie popolazioni che li hanno abitati. Ed ancora oggi vi si trovano esempi di abitazioni trogloditiche, interamente scavate nella roccia, affiancate ad abitazioni di origine normanna, e poi rinascimentale, barocca, e così via fino ai nostri giorni. Durante lo scorso secolo le condizioni igieniche di molti di questi luoghi furono giudicate inaccettabili secondo gli standard allora vigenti (ad esempio, la mortalità infantile era tre volte quella media italiana), anche per il continuo diminuire della disponibilità di acqua aggravato dal contemporaneo aumentare della popolazione residente. Così negli anni cinquanta venne disposto per legge lo sfollamento, che fu completato in un quindicennio.

15. Sasso Barisano e Sasso Caveoso

Dopo una lunga fase di abbandono quasi totale, intorno alla fine del secolo scorso ebbe inizio, per l’evidente grande valore storico e ambientale dei luoghi, la fase di recupero, che continua tuttora, particolarmente nel Sasso Barisano. Oggi i Sassi sono meta di una notevole corrente turistica, alimentata anche dal loro inserimento, nel 1993, nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO. Non meno importante è stata la cinematografia: numerosissimi film vi sono stati ambientati, tra cui Il vangelo secondo Matteo di Pasolini, Allonsanfan dei fratelli Taviani e La Passione di Cristo di Mel Gibson.

16. Scena della crocifissione nel film La passione di Cristo di Mel Gibson

Naturalmente luoghi come questi ospitano chiese e palazzi di grande interesse artistico; e numerosi sono anche i musei che documentano la storia della città. Ma niente fa godere lo spirito più di una passeggiata – che spesso diventa un’arrampicata – per i vicoli e le scale dei Sassi. Specie se si è colti dal tramonto al termine di una bella giornata.

17. Immagini di Matera

Siamo alla fine del viaggio. E dopo Matera prendiamo la via del ritorno. Ma lungo la strada ci imbattiamo – è il caso di dirlo – in Lagopésole. Il castello di questa cittadina si scorge infatti da molto lontano, quando le sue case non sono ancora percepibili. Mai come in questo caso è legittima la frase comune “il castello domina la città”; anzi, sarebbe più appropriato dire “il castello incombe sulla città”. La pianta ha le dimensioni di un campo di calcio; e la struttura massiccia che l’accompagna, tra l’altro restaurata alla perfezione solo pochi anni prima, non potrebbe in alcun modo passare inosservata.

18. Lagopèsole

E’ uno dei tanti castelli voluti da Federico II, che oggi ospita un museo. Nei suoi immensi ambienti, che – bisogna riconoscerlo – sono difficilissimi da riempire, i responsabili del museo hanno installato alcune quinte – grandi, ma inadeguate a quegli enormi spazi - che ospitano pannelli con scene della vita e delle opere di quel grande sovrano. Tra esse, particolarmente curata, l’illustrazione del trattato De arte venandi cum avibus, sulla caccia con il falcone, di cui egli era grande cultore ed esperto.

19. Lagopesole, l'ingresso al castello ed uno dei cortili interni

E qui racconto un curioso episodio. Dopo aver pagato il biglietto, assieme ad una ventina di altre persone ci avviamo alla visita. La gentile signora della biglietteria ci accompagna, adesso in veste di guida. Ma ha appena cominciato che il suo telefono squilla. Si scusa con noi: altri visitatori incalzano, e deve tornare alla biglietteria, dove evidentemente non c’è nessuno che possa sostituirla. Rimaniamo soli a continuare la visita, ed alcuni mugugnano. A questo punto mia moglie, che, nel corso dei suoi studi, di Federico II è stata un’ammirata studiosa, comincia a parlarne con i toni di chi la sa lunga. Tutti la attorniano, curiosi ed attenti, e lei continua appassionatamente. Io, che queste cose le ho sentite - e dalla stessa sorgente - mille volte, invece precedo tutti e continuo la visita da solo. Alla fine mi ritrovo all’esterno, in uno dei grandi cortili del castello, ed uso il tempo d’attesa a far foto, cui la bella severità dell’ambiente mi stimola.

Dopo una ventina di minuti il gruppo finisce con lo sbucare, come me, nel cortile. E’ a questo punto che scoppia un applauso spontaneo: la performance di Adriana è stata evidentemente apprezzata.

(Non era, per la verità, la prima volta: un precedente quasi identico si era verificato, qualche anno prima, negli scavi di Tharros, in Sardegna, quando l’argomento riguardava il decumanus maximus ed il cardo maximus, strutture principali dell’urbanistica romana, che la giovane guida che ci accompagnava non sembrava conoscere in dettaglio).

La nostra Basilicata coast to coast si conclude qui.

20. Una grossa forma di pane, da 2 kg



Quasi tutte le fotografie sono mie. Fanno eccezione, per fatti contingenti, quelle di Matera e pochissime altre (tra cui, ad es., la vista dal cielo di Acerenza), che provengono dal web.