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mercoledì 29 aprile 2020

TRE RACCONTI DI SOCI E AMICI

Coronavirus story di Guido Levi


finire del 2019, a Wuhan (Cina) viene alla luce un esserino più precoce di Mozart e di Shirley Temple che non tarderà a far parlare di sé in tutto il mondo.

Nasce da padre ignoto e da madre nubile, ghiotta di fesa di pipistrello e di incontri maschili. La ragazza, temendo di venir travolta dalle malelingue del rione decide di disfarsi del pupo e lo depone con garbo – avvolto in un plaid di pile - davanti alla succursale locale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Confida che un Ente dedito a tutelare la salute pubblica non si sarebbe sottratto all’obbligo morale di adottare il rampollo. Infatti, un funzionario mattiniero raccoglie l’involtino (siamo alle soglie della primavera) e lo registra col nome di Coronavirus.

Eco dell’evento raggiunge le orecchie a sventola di Carlo d’Inghilterra che, per scrupolo filiale, lo riversa in quelle più composte di mammà. La Regina, indignata, indirizza al CEO dell’OMS una vibrata lettera di protesta, lamentando l’accostamento della corona ad un virus. Se proprio si voleva imporre sulla testa di questo virus un copricapo qualsiasi, erano a disposizione il colbacco e la coppola, il basco e il tocco e altri consimili accessori, senza dover appannare il glamour dei Windsor. La replica dell’OMS giunge, ambigua e confusa come tutti i documenti redatti da Enti Sovranazionali. Un misto di scuse e giustificazioni cervellotiche che possiamo riassumere con la formula “cosa fatta capo ha”. D'altronde, proprio in quei giorni, l’OMS si arrovella su come ci si debba rivolgere al Coronavirus nelle circostanze ufficiali. Viene subito scartata la formula Sua Pestilenza, ritenuta troppo cruda e irriverente, e fra Sua Epidemia e Sua Pandemia si sceglie la seconda.

Nel frattempo, Coronavirus – rendendosi conto di vivere nell’età del web si affretta a trovarsi un nickname. La sua scelta cade su Covid-19 che fa un po’ disc jockey, ma gli sembra assai cool. Apre una pagina Facebook sulla quale campeggia il suo faccione rotondo di incarnato grigiastro, costellato di pustole color porpora che, in pochi giorni raggranella milioni di follower e vagonate di like. Ciò soprattutto nella fascia d’età preadolescenziale. I ragazzi sui 10/13 anni, si sa, adorano i mostri, i blob, la plastica gelatinosa e le figurine splatter che hanno soppiantato i calciatori e i personaggi disneyani.

Qualora il Prof. Paolo Crepet fosse stato incaricato di tracciare un profilo caratteriale di Covid-19, lo avrebbe definito arrogante, invadente, caparbio, inaffidabile, anaffettivo, egocentrico, prevaricatore, subdolo, e la cartuccia della sua stampante si sarebbe esaurita prima che egli finisse di elencare le sfaccettature negative dell’indole del soggetto. Siccome però nessuno ebbe l’idea di conferirgli tale incarico, il compito di giudicare Covid-19 resta in capo a ciascuno di voi.

Il mariuolo ritiene di essere – come si suol dire – nato imparato e pertanto rifiuta l’idea di percorrere qualsivoglia corso di studi. Preferisce dedicarsi alla sua passion predominante, che è quella per i viaggi. Egli inizia col voler girare in lungo e in largo per il suo paese ma le Autorità oppongono a questa sua aspirazione, per motivi che non sa spiegarsi, una serie di divieti, sbarramenti e inciampi, che non fanno che incattivirlo e renderlo più irascibile ed aggressivo. Decide quindi di volgere le terga alla Patria e far rotta verso altri più ospitali lidi. Acquista un biglietto della Epidemic Airlines, con destinazione Roma.

Il secondo giorno di Vacanze Romane, davanti alla Fontana di Trevi, s’imbatte in una coppia di anziani cinesi intenti a crivellare lo specchio d’acqua di Renminbi e coi quali fa volentieri comunella, visitando il Colosseo e Castel Sant’Angelo, e concludendo la serata a Trastevere davanti ad una spaghettata cacio e pepe. L’indomani mattina scopre che i suoi connazionali si sono trasferiti dal Plaza allo Spallanzani, che egli immagina essere un albergo più economico, dove lascia per loro in portineria un garbato biglietto di commiato con preghiera di cortese consegna.

I giorni volano e ci ritroviamo tutti all’otto marzo 2020. Appartenendo al genere maschile, Covid-19 non si sente particolarmente elettrizzato dalla ricorrenza, ma non può esimersi dal notare che, contrariamente al solito, i rametti di mimosa finiscono direttamente nel bidone dell’umido, senza prima transitare per il tailleur o la scrivania delle signore a causa del forte odore di Amuchina che emanano. Colpa o merito dei floricultori sanremesi che hanno spinto sull’igienizzazione del prodotto. Nel mentre – di converso – i produttori di Amuchina stanno facendo ogni sforzo per conferire a detto disinfettante un accattivante olezzo di mimosa.

Dopo il soggiorno nell’Urbe, Covid-19 punta la prua su Milano. Quando ancora risiedeva in Cina, aveva avuto modo di ammirare in TV le sfilate di Armani e quelle di Dolce e Gabbana e conta ora di poter stringere la mano a Re Giorgio e a quei simpatici Zuzzurro e Gaspare della moda meneghina.

Prima però di immergersi nel trambusto della metropoli e dover fare la coda per ammirare l’Ultima Cena, vuole concedersi qualche giorno di relax in una tranquilla località di provincia scelta a caso, e punta la biro su una cartina della Lombardia. La sorte gli indica Codogno che, dopo pochi giorni, viene dichiarata “zona rossa”. Stordito dalla superbia che gli conosciamo, Covid-19 interpreta tale misura come la stesura di un “red carpet” in suo onore, come aveva visto fare a Cannes o in occasione degli Oscar.

A Milano lo attendevano due cocenti delusioni. Le prime della sua vita. Dolce e Gabbana si trovavano momentaneamente a Singapore e Giorgio Armani si rifiutava di riceverlo, essendo impegnato a dare una spruzzata di viola alla sua ultima collezione, badando però a non attenuarne il rigore e a non involgarirla con tonalità sfacciate.

Tappa dopo tappa del suo itinerario, scemava l’entusiasmo di Covid-19 per questo viaggio di formazione. Davanti alla Sagrada Familia, al Louvre e al Prater campeggiavano cartelli con la scritta “CERRADO”, ”FERME’”, ”GESCHLOSSEN” e risultavano preclusi anche i quartieri a luci rosse e i mercati delle pulci. Le piazze erano deserte e i rari passanti, col volto coperto da mascherine, si incrociavano –schivandosi – e senza scambiare un saluto o un commento qualsiasi. Negli occhi: paura, rassegnazione e diffidenza. Nella tracotanza e autostima che gli conosciamo, Covid-19 avverte le prime micro fessure. Non si tratta ancora di un senso di colpa, ma lo sfiora il pensiero che vi possa essere un certo nesso fra la sua presenza e la disastrosa sequenza di polmoniti virali che funestano ospedali e case di riposo. Si sente ora il nemico pubblico n°1.

Ormai il suo unico svago consiste nel seguire in streaming i vari dibattiti che avvengono in videoconferenza tra virologi, epidemiologi e statistici di tutto il mondo, con l’unico scopo – ahimè - di abbatterlo. In Spagna, si punta ad infilzarlo e fulminarlo con un aggeggio che fonde la tecnica delle banderillas con quella dei TASER. In Francia, si è scoperto che il Moulin Rouge è l’unico luogo dove non si siano verificate infezioni e la dotta ipotesi è la seguente: lo sventolio di gambe e sottane delle ballerine di can-can impedisce al virus di depositarsi nei polmoni. Si sperimentano ovunque le terapie più avanzate : immersioni nella schiuma di birra, supposte a base di lucido da scarpe, cicli omeopatici con deiezioni di passerotto (purché della specie nonandarevia).

Approdato da poco all’aeroporto londinese di Heathrow,Covid-19 constata che il 99,99% dei voli è obliterato dalla dicitura CANCELED. L’unica destinazione sopravvissuta sembra essere quella di Kingston (Giamaica) ed egli non può lasciarsela sfuggire. Punta sulla biglietteria dove viene accolto con empatia. Gli viene concessa una tariffa di favore per l’eccesso di bagaglio e staccato un biglietto con modalità di imbarco prioritaria. A Roma direbbero “priorità de ché?”, visto che al Gate n°7 stazionano, oltre a lui, solo quattro passeggeri: una matrona creola dal sedere esagerato, due uomini d’affari emiratini (ramo petrolio) e un adolescente con cuffie e brufoli d’ordinanza. Il volo viene abbreviato da assenza di turbolenze e spinta di venti a favore. Nessuno applaude la perizia del pilota nell’atterraggio.

Giunto a destinazione, si lascia consigliare un pulcioso alberguccio di periferia. Rinunciando alla cena, alla doccia e a spogliarsi, si sdraia supino, non prima però di aver appeso al pomello della porta il cartello che prega di non disturbare. Essendo ateo, sceglie di non tenere le braccia incrociate sul petto ma stese lungo i fianchi ed à così che lo trovano l’indomani gli inservienti. Col beneplacito dell’Ambasciata Cinese, viene cremato e le ceneri disperse nell’oceano, dove si fondono con una di quelle vaste isole di plastiche galleggianti che infestano i mari.

Il 2 Maggio,per non interferire con la festa del lavoro, si terranno in tutto il mondo un minuto di silenzio in onore delle vittime, seguito da un minuto di tripudio per la morte di Covid-19.  





                        
VERDILLA di Fides Modesto


C’era una volta una foglia bellissima di nome Verdilla.

Era nata quando l’inverno non se n’era ancora andato del tutto, e quelli che passavano l’avevano notata, perché era l’unica foglia su quella grande pianta di acero.

Verdilla era molto vanitosa: le piaceva essere guardata e le piaceva anche specchiarsi nella pozza d’acqua che a volte si formava proprio lì sotto l’acero dopo i grandi acquazzoni.

Pian piano erano nate altre foglie, ma Verdilla era interessata solo alla propria bellezza. All’arrivo dell’estate, cercava di ripararsi sotto l’ombra delle altre foglie per non rovinare la sua preziosa pelle color verde smeraldo. Quando c’era il vento, si avvicinava alle compagne, ma non lo faceva per amicizia e affetto; era solo per proteggersi e per non correre il pericolo di essere strappata dal ramo. Se di notte la bufera si abbatteva impetuosa sull’albero, le compagne chiamavano Verdilla perché si unisse al loro coro: “Su, Verdilla, facciamo sentire a tutti come cantiamo bene tutte insieme! Come saranno felici i bambini di sentirci stormire mentre loro sono al riparo nel calduccio dei loro letti”. Ma Verdilla non le ascoltava nemmeno, e se ne stava lì rannicchiata, in attesa che il vento si allontanasse.

Pian piano, il suo colore verdolino si era trasformato in giallo oro, poi in arancione, in rosso ciliegia, in rosso porpora dai riflessi violetti.  La nostra foglia capiva di non essere più una bambina, e temeva molto di doversi staccare dal ramo.

Quando arrivarono i forti venti d’autunno, molte compagne incominciarono a volarsene via. Anche stando per terra, formavano tutte assieme un bel tappeto dalle innumerevoli sfumature di colore.

Così come era nata per prima, Verdilla ormai era l’unica e ultima foglia rimasta sull’albero. Era molto tenace, e faceva di tutto per non staccarsi dal ramo su cui si trovava. Adesso, però, incominciava a soffrire la solitudine. Le compagne volteggiavano in aria sospinte dal vento e poi si posavano con dolcezza al suolo.

Per la prima volta, rivolse loro la parola: “Ehi, amiche, come si sta laggiù?”. Le foglie cadute si meravigliarono molto di sentire la voce di Verdilla e in coro, come sempre, le risposero: “Verdilla, perché non vieni giù con noi? Dopotutto abbiamo avuto una vita felice, abbiamo visto giorni meravigliosi con i cieli azzurri della primavera e dell’estate, abbiamo dato gioia a grandi e piccini con i nostri colori. Non puoi immaginare per quante cose possiamo essere utili! Ieri sono venuti dei bambini e hanno raccolto alcune di noi per i loro lavoretti: uno ha deciso di mettere una bella foglia tra le pagine di un album dei ricordi; un altro ha formato un grazioso quadretto incollando alcune foglie su una tavoletta; una bimba piccolissima che non sa ancora disegnare ha fatto uno splendido disegno seguendo i contorni di una grande foglia. La mamma di uno di loro, poi, ha raccolto a terra alcuni rametti strappati dal forte vento e ne ha fatta una composizione per ornare la tavola insieme a pigne secche e frutta colorata. E poi, c’è un’altra cosa importantissima che possiamo fare: dare nutrimento al terreno sotto al nostro albero; ma anche, messe in folti gruppi, far crescere altre piante e proteggerle dal gelo”.

Verdilla ascoltava attenta e pensierosa. Era la prima volta che s’interessava a quello che dicevano le sue compagne, e solo adesso si rendeva conto che erano  intelligenti e simpatiche. Le dispiaceva un po’ essere rimasta in disparte per tanto tempo e non aver goduto dell’amicizia di tutte quelle foglie;  lei, infatti, le aveva guardate soltanto per confrontarsi e scoprire ogni volta di essere la più bella. Però, c’era ancora tempo per riparare. E così gridò dall’alto: “Amiche, aspettatemi, che scendo anch’io!” Tutte le foglie fecero cerchio attorno alle radici dell’acero. Spirava un venticello leggero e si creò una specie di girotondo dalle più varie sfumature di colori, caldi e allegri. “Scendi, Verdilla!” gridarono (o meglio sussurrarono con le loro voci gentili: Scendi, Verdilla!). Verdilla si diede un piccolo strappo, si staccò dal ramo, e incominciò subito a volteggiare nell’aria tra gli applausi delle amiche.

La primavera seguente, nacquero a una a una tante altre foglie che certo  non potevano conoscere la storia di Verdilla; ma l’albero sì che sapeva tutto! Così, nelle lunghe sere d’estate, le nuove foglie si facevano raccontare dal tronco vecchio e sapiente la storia della foglia Verdilla e delle sue compagne.                                                                                                                                                                   





Coronavirus  di Roberta Bedosti
Il Coronavirus era un virus che volle farsi re.
Pensò che bastasse mettersi in testa una corona per prendere il potere
e mantenerlo, ma si sbagliava.
In un giorno di febbraio, approfittò della distrazione dei virus, occupati a diffondere la classica influenza di fine inverno, rubò la corona e saltò nel vuoto.
Atterrò su un cinese che non aveva altra colpa se non di essere anziano e saggio. Colpito il primo, fu facilissimo allargare i confini dell’impero. Si chiese perché mai avrebbe dovuto accontentarsi di qualche migliaio di cinesi quando c’era il vasto mondo in tutt’altre faccende affaccendato?
Mentre il Coronavirus si spostava alla velocità della luce, i virus buoni, della tribù dei Fagi, grandi amici degli uomini, ma soprattutto delle donne, decisero di riprendersi il potere. Si fecero piccoli piccoli come la regina Mab e s’infilarono nelle orecchie dei potenti della terra, sussurrando loro la più semplice delle soluzioni: far morire il Coronavirus per fame.
Alcuni uomini persero molto tempo a dissertare se “chiudere o non chiudere”, ma i migliori ascoltarono le loro sagge donne che sapevano benissimo come far finire le guerre, negando l’oggetto del desiderio.
Fu così che il 21 marzo, primo giorno di primavera, il Coronavirus si trovò in strade silenziose, giardini chiusi e piazze desolate e cominciò a sbraitare:
-Ehi, dove cavolo siete finiti tutti? -, ma più urlava e più s’indeboliva.
Disperato, cercò di aggredire Davide, un bambino che portava a spasso il suo barboncino. Il bimbo gli fece uno
sgambetto. Il virus precipitò, perdendo la corona, la forza e il potere e atterrò sulla cacca dell’ignaro cagnolino.
I ciclamini sorrisero, le primule sorrisero, le begonie sorrisero e tutto il mondo 
esplose in una fragorosa risata.