Quanti paesi, villaggi, città abbiamo lambito o attraversato senza chiederci se meritassero una sosta, senza pensare a quel che di prezioso potessero esibire e talvolta nascondere? Molto tempo fa, quando imboccavo la Val Seriana in direzione di Clusone e della Presolana, devo essere

Lode e riconoscenza a Novaluna se, meglio tardi che mai, abbiamo potuto sapere, vedere e ammirare (l’elogio va rivolto principalmente a Giorgio Crippa e a Edoardo Marino che dell’escursione ad Alzano sono stati gli ispiratori e gli organizzatori).
Alzano Lombardo deve il suo nome ad un podere assegnato in epoca romana alla Gens Alicia. E’ un borgo di gente operosa che fin dal cinquecento, sotto il governo della Serenissima, ha conosciuto periodi di grande prosperità derivante dallo sviluppo di attività artigianali e commerciali connesse soprattutto alla lavorazione della lana, cui si aggiunsero nel settecento quella della fabbricazione della carta (le Cartiere Pigna) e nell'ottocento quella della produzione di cemento (la prima fabbrica dell’Italcementi in Italia).
E’ proprio lì, alla vecchia Italcementi, che ci siamo dati appuntamento, non al cementificio che, ormai del tutto dismesso e abbandonato, si presenta come un grigio imponente rudere industriale, ma all’edificio che lo fronteggia, originariamente destinato alla progettazione e alla costruzione del macchinario per cementifici di cui l’Italcementi era un produttore d’avanguardia. Dopo lunghe peripezie per raggiungerla (il Comune di Alzano non la degna di segnalazioni stradali, forse per non deviare il forestiero da altre illustri e meno controverse mete cittadine), abbiamo parcheggiato al piede di una struttura dall’aspetto nobile e austero, perfettamente e sapientemente restaurata.
Le opere, foto, dipinti, installazioni, sculture, video, animazioni, sonorità, oggetti decontestualizzati, molti di ragguardevoli dimensioni, sono collocati in uno spazio suggestivo, marcato da poderosi pilastri reggenti ampie volte a botte, qua e là bucate da oblò-lucernari che assicurano all’ambiente una luce soffusa ed omogenea, di cui sempre dovrebbero giovarsi le pinacoteche e i musei (la tenebra perforata dai fasci di luce dei faretti si addice all’esibizione del trapezista nel circo, o del prestigiatore sul palco, non all’esposizione e alla comprensione dell’opera d’arte).
Abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di essere accompagnati nel lungo itinerario attraverso questa vasta rassegna espressiva dell’arte del nostro tempo dallo stesso conservatore dell’ALT, una guida colta e riflessiva, libera da quegli atteggiamenti declamatori cui talvolta indulgono le guide dei musei fino ad assomigliare agli imbonitori del mercato del giovedì. Ha assolto al non facile compito di introdurci con essenziali riferimenti storici e misurati commenti critici alla conoscenza di un’arte fortemente concettuale, allusiva e provocatoria, volutamente scandalosa, più scostante che accattivante, talvolta inquietante e addirittura irritante. Del resto, oggi si ritiene che sia proprio questa la missione dell’artista, spiazzare, demolire le consuetudini, violare i tabù, proporre nuove e originali visioni del mondo, suscitare perplessità e accendere controversie, ci penserà poi il tempo a separare il grano dal loglio.
La mia opera preferita? Una estroflessione di Piero Manzoni, un gioco d’ombra e di luce ottenuto con un lino pieghettato e irrigidito col caolino, un non-dipinto di pura e serena eleganza (mi pento di non averlo fotografato).

Non si può negare che gli eredi suoi concittadini ne abbiano fatto buon uso.
Al centro dell’universo non c’è più l’uomo della Rinascenza, gli uomini della Controriforma sono i quattro telamoni del pulpito (Le quattro età dell'uomo), nobili figure relegate a un ruolo servile. Invece di stare sul piedistallo, sono le loro schiene piegate e le loro membra contratte a far da piedistallo alla coppa della Sapienza che la predicazione somministra ai fedeli. La gloria del protagonista spetta alla sommità del pulpito, dove la parola divina sembra esplodere fuori dal capocielo in uno sfolgorio di azzurro e oro. Il nesso fra Barocco e Controriforma viene oggi ritenuto meno stretto che in passato, ma non c'è dubbio che questo pulpito è un meraviglioso strumento di persuasione ideologica al servizio di quella “rivoluzione culturale” che fu la Controriforma cattolica.
La planimetria della basilica presenta otto cappelle laterali dedicate a uno o più santi di diffusa venerazione popolare. La nostra guida ha opportunamente fermato l'attenzione sulla più importante e significativa, la Cappella del Rosario arricchita da uno splendido paliotto d’altare con la Natività della Vergine, opera di Andrea Fantoni.
Le meraviglie non sono finite, anzi. La Basilica di San Martino è impreziosita da tre annesse sacrestie, anch’esse secentesche, costruite come locali rispettivamente di preparazione del clero alle funzioni ecclesiali, di preghiera e di riunione. Vi sono raccolti i più stupendi capolavori di ebanisteria che sia dato vedere, dovuti alla maestria di due famiglie di intarsiatori e di intagliatori della bergamasca, i Fantoni di Rovetta e i Caniana di Romano Lombardo.
La prima sacrestia è riccamente arredata con mobili in legno di noce che imitano la facciata di una Chiesa. Sui contrapposti armadi centrali, nelle cui inaspettate profondità sono custoditi i paramenti e gli arredi del culto, sono collocate le statue lignee con San Martino e San Pietro, mentre su quelli laterali sono rappresentati i Dottori della Chiesa Sant’Ambrogio, Sant’Agostino, San Gregorio Magno e San Gerolamo. Bellissima e inquietante la scultura barocca della Morte trionfatrice sui poteri del mondo (Papato, Impero e Sinagoga).

Sopra la porta d’ingresso è posto un busto raffigurante Nicolò Valle, che come benefattore si deve contentare dell’onore della sacrestia, quello della chiesa essendo concesso solo ai santi.
La seconda sacrestia, cui erano ammessi esclusivamente i sacerdoti per celebrare i riti preparatori alla liturgia, è di stupefacente complessità decorativa. I banconi appoggiati alle sue quattro pareti sono sormontati da un Martirium elogium, una elaboratissima cimasa lignea con 32 gruppi scultorei a tutto tondo raffiguranti i santi martiri della fede. Sono miniature di personaggi che raccontano con straordinaria potenza espressiva la leggenda per la quale sono ricordati e venerati.

La terza sacrestia, sede delle adunanze della Collegiata sacerdotale locale, è arredata da un coro di stalli lignei ad opera dei Caniana. Qui le decorazioni sono di intonazione laica, soggetti naturalistici, motivi vegetali intrecciati, frutta e verzure, giochi di fanciulli, paesaggi idilliaci.

Gauss
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