La prima riguarda l’Amleto da me impropriamente attribuito a Peter Brook, mentre Elio si riferiva a quello messo in scena e ripreso in una celebre trasposizione filmica da Tony Richardson con Colin Williamson nella parte di Amleto. In proposito Elio chiarisce le mie troppo scheletriche notazioni con una “interpretazione autentica” (estraggo i passaggi che a me sembrano più eloquenti e significativi).
«Ritengo che Richardson abbia avuto una felice intuizione, nel suo Amleto. Siamo di fronte alla rappresentazione del potere e dell’uomo in rivolta Amleto. Ci si sarebbe aspettati, in quegli anni, un potere grigio e cupo e una rivolta tutta colori: così noi ci ritraevamo allora. La rivolta del colore (L’immaginazione al potere!) contro il grigio dei "matusalemme" arroccati al potere.
E invece Richardson ci frega: il potere è colorato, la rivolta è vestita di nero, sobria, puritana, moralista, quasi sessuofoba nell’ossessione di Amleto per le nuove nozze di sua madre con l’usurpatore. Vi ho visto una anticipazione del nuovo potere di questi anni, così diverso da quello grigio – le grisaglie e la camicia bianca degli uomini di potere di allora, abito piccolo-borghese per eccellenza - a cui eravamo abituati. Un potere colorato, smaccato, truccato, coi tacchi per tutti, le donne supertirate, il lusso ostentato e la trasgressione solo velata dalla ipocrisia ammiccante – l’ipocrisia è il solo omaggio che il vizio rende alla virtù: per il resto se ne frega – un potere edonista che non si preoccupa poi di lanciarsi a spada tratta in battaglie moraliste sui “temi etici” ma pratica un gusto sfrenato per la vita che non ammette limiti, almeno al privilegio.
Mi pare un merito grandissimo di Richardson l’aver intuito - nel 1968 ! - un "potere nuovo" in questa nuova veste sgargiante e spettacolare. E pure aver intuito - nel 1968 ! - che i ribelli veri di oggi avrebbero dovuto opporsi a quel potere rischiando di vestire i panni dei moralisti, dei bacchettoni, dei pessimisti, sostanzialmente dei noiosi e degli sfigati, dei falliti, dei poveracci tristi, dei frustrati…
(………)
Il sessantotto fu un’occasione straordinaria per mettere al passo l’estetica della vita con la velocità delle trasformazioni sociali. Il potere si oppose all’estetica della rivolta e alla sua rumorosità, ma poi qualcuno intuì le potenzialità di un nuovo mercato, di un nuovo business, di un nuovo potere e si buttò nella corrente. Dissociò l’estetica dai valori di cui si voleva far portatrice e ne fece il turbo compressore della sua nuova creazione di privilegio».
La seconda precisazione riguarda l’effetto tabù della Shoah sul modo di proporre e interpretare il Mercante di Venezia nel dopoguerra. Questa la nota di Elio De Capitani:
«…In tutte le messinscene del Mercante di Venezia del dopoguerra ha prevalso la scelta di farne una tragedia, tutta tinta dei colori dello scontro tra Shylock e Antonio.
Il Mercante di venezia, regia di Elio De Capitani
Ma, dopo la Shoah, molti registi si sentivano intimoriti dal tema “antigiudaico”, pur abilmente trattato da Shakespeare e ritenevano che non si potesse ridere e far commedia, aderendo a quel finale che anticipa la leggerezza mai superficiale del Mozart di “Così fan tutte” (a ruoli invertiti tra uomini e donne), quando c’è di mezzo un ebreo e tutta la veemenza antigiudaica dei veneziani, che diventa repulsione in Antonio e in Bassanio e violenza verbale estrema e senza freni in Graziano. Qui ho detto: “é come se fosse scattato un tabù”.
Invece il Mercante é anche e soprattutto una commedia, quasi un musical ante-litteram, dove Shylock è un incidente tragico.
Trascrivo le note di regia che scrissi allora allo stesso tavolo da cui sto scrivendo ora».
Le note di regia di Elio sono un testo fluviale, che un commento a un post faticherebbe a contenere. Ma chi è interessato a conoscere compiutamente il suo pensiero su questa opera shakespeariana lo può trovare sul sito di Novaluna qui.
Grazie Elio, sia dell’indimenticabile serata che di questo prezioso supplemento.
Gauss