di giorgio casera
L’autunno può svelare brutte sorprese in una gita al lago. Basta una giornata coperta o addirittura con pioggia per nascondere la vera bellezza della stagione, i colori delle foglie sugli alberi nei parchi e nei boschi. Il verde di mille gradazioni si trasforma in giallo e in rosso nelle latifoglie come l’acero o il faggio, mentre l’abete conserva il suo colore verde scuro, Si parte dunque con qualche patema, sabato 19 ottobre, osservando il cielo coperto e, lungo il percorso in autostrada per Verbania, una diffusa foschia in lontananza.
Ma non andiamo a Verbania solo con obiettivi naturalistici: la prima meta, che impegnerà l’intera mattinata, è Fondotoce, frazione di Verbania, dove visiteremo la Casa della Resistenza e il Parco annesso. La Casa è stata costruita a ridosso del luogo dove nel giugno 1944 furono fucilati 43 partigiani (uno dei quali si salvò rocambolescamente), partigiani rastrellati nelle valli a NO del lago Maggiore, la Valdossola e la Valgrande, dove dopo l’8 settembre 1943 si era concentrata una forte attività partigiana (che darà luogo alla costituzione della Repubblica dell’Ossola, primo territorio libero nel Nord Italia ancora occupato dai nazifascisti). Arriviamo alla Casa alle 10, puntuali, e ci accoglie Giorgio Danini, insieme ad alcuni volontari, che aiutano nella gestione della casa. Danini è un appassionato studioso di storia della Resistenza della regione Verbano/Cusio/Ossola; è nato a Fondotoce subito dopo la guerra ed è cresciuto in un ambiente familiare schierato dalla parte “giusta”, con congiunti impegnati nella lotta armata.
Ci fa accomodare in una grande sala per conferenze e ci fornisce il quadro della situazione esistente nel 1944, con le formazioni partigiane (di ogni colore, ci tiene a precisare), ciascuna con la sua dislocazione nelle valli, a contrastare i presidi dei tedeschi e dei fascisti, situati lungo le rive del lago Maggiore. Il movimento partigiano è forte e organizzato e darà filo da torcere al nemico occupante. Componenti delle formazioni sono abitanti della zona, ma anche oppositori al regime provenienti dal Piemonte a dalla Lombardia (Gianni Citterio è caduto in queste valli in combattimento), militari che dopo l’8 settembre scelgono la lotta armata contro tedeschi e fascisti e giovani renitente alla leva nell’esercito di Graziani. L’importanza che assume la lotta armata in queste valli, la vicinanza con la Svizzera, preziosa per il contatto con gli Alleati, fa si che il CLN di Milano nomini un ufficiale di collegamento, nella persona di Giambattista Stucchi (che qui, a dimostrazione delle regole della clandestinità, conoscevano anche recentemente con il solo nome di battaglia, Federici). Vengono così alla luce i significativi legami tra Fondotoce e Monza, che Danini sottolinea.
Terminata questa premessa, Danini ci guida nel Parco esterno alla Casa. Vedremo così che l’episodio della fucilazione dei partigiani è stato solo uno spunto per costruire un luogo della memoria e della storia sui più ampi avvenimenti della 2.a guerra mondiale e della resistenza al nazifascismo. Il Parco cioè ricorda con distinti monumenti l’eccidio degli ebrei in varie località del lago Maggiore, il ruolo della donna nella Resistenza, il contributo dei giorgiani, disertori dell’esercito tedesco, alla lotta partigiana, i deportati nei campi di concentramento e infine, con un lungo muro ove sono riportati tutti i nomi, i numerosi caduti della guerra di liberazione della provincia di Novara (che fino a qualche anno fa comprendeva il Verbano/Cusio/Ossola). Percorriamo il Parco in silenzio, solo Danini parla, fino al luogo della fucilazione. I dettagli che ci racconta, le fucilazioni a tre per volta, gli abbracci tra i condannati, i corpi che cadono uno sopra l’altro, ci fanno rivivere la scena.
Rientriamo nella Casa e visitiamo le varie sale: c’è quella dei video sugli orrori della guerra, quella delle mostre estemporanee (è in corso quella sulle 4 giornate di Napoli), quella sulla fucilazione del giugno 1944 (con i documenti d’identità dei fucilati appesi alla parete, riprodotti e ingranditi), la biblioteca, che comprende l’archivio di Aldo Aniasi, ex sindaco di Milano, che è stato partigiano qui, tutte sale che ruotano intorno alla sala conferenze, costituendo un variegato percorso didattico. Perché, dice Danini, la Casa è visitata da gruppi, associazioni ma soprattutto da scuole, per una lezione di storia “dal vivo”. La Casa, peraltro, non è un museo, sottolinea ancora, ma un centro culturale vivo, che ospita incontri e manifestazioni culturali in senso lato.
Arriviamo così alle 12.30 e ci spostiamo a piedi per il pranzo in una vicina trattoria, “La gallina che fuma”. Anche qui un altro aneddoto storico: la trattoria ha sede nella costruzione dove nel 1944 era insediato un posto di blocco fascista, i cui componenti, una quarantina, furono tutti catturati durante un’azione partigiana (e successivamente liberati, non esistendo strutture per custodire prigionieri). La scelta del luogo per la fucilazione volle essere una risposta a quello smacco.
Dopo aver pranzato, bene, siamo pronti per il secondo obiettivo della gita, i giardini della Villa Taranto di Pallanza, altra frazione di Verbania. Un sole sempre più rinfrancato continua ad accompagnarci ed in pochi minuti giungiamo all’ingresso della Villa. Se c’era qualche riserva sulla data scelta per la visita (fine ottobre, e i giardini chiudono ai primi di novembre), questa svanisce alla vista delle dalie (nel cosiddetto
Labirinto delle dahlie) , un’esplosione di colori originato da trecento varietà.
Ma prima e dopo le dalie, il percorso guidato ci permette di apprezzare quanto di meglio possa offrire un giardino: specie arboree di ogni tipo (che forniscono scorci che solo l’autunno, con i suoi colori, rende così suggestivi), fontane e sculture, serre, laghetti e vasche per la stupenda flora acquatica. Il tutto distribuito armonicamente su colline a vallette prospicienti il lago, e ancora, all’interno del giardino, la Villa e il mausoleo del fondatore di Villa Taranto, il capitano Neil Mc Eacharn. Ma non mi dilungo nella descrizione, preferendo invitare il lettore ad osservare le splendide foto di Massimo Vanzi, che precedono e seguono, perché, come avrebbe detto il capitano, parafrasando un noto proverbio inglese, le immagini “speak louder than words”.