A proposito di personaggi veri (come Fra Dolcino) o leggendari (come il bandito Lasco) che hanno vissuto nelle nostre vallate alpine, sono rimasto sorpreso nel trovare, nella recente visita al Museo delle Alpi a Bard, la rappresentazione della leggenda dell’om selvarech (uomo selvatico), originata e mantenuta in uno specifico paesino delle Dolomiti sudorientali, Rivamonte Agordino (in seguito però ho saputo che anche in Valtellina esiste un personaggio analogo), confinante col paese dei miei nonni, dove ancora trascorro le vacanze in montagna.
Rivamonte è il nome amministrativo dato al Comune formato da un agglomerato di frazioni sparse sulla costa di una collina che degrada verso la Val Pettorina, dal nome del torrente che alimenta il Cordevole, affluente del Piave.
Nei secoli gli abitanti di Rivamonte hanno fatto i contadini e boscaioli, integrando quando possibile le magre risorse raccolte col lavoro di minatore in una vicina miniera di pirite attiva fino agli anni ’30 del ‘900 e i seggiolai (di sedie impagliate). Dal mondo agropastorale è nata la millenaria leggenda dell’uomo selvatico, uomo che vive nei boschi vestito di rami e di foglie e che conosce i segreti della lavorazione del latte, segreti che ha rivelato all’uomo (questo motivo è ricorrente in altre leggende di derivazione celtica).
Quando mia nonna lo citava era per fare paura a noi bambini, ma per quanto detto sopra nel paese viene considerato un “eroe positivo” e fatto diventare, dalla popolazione di Rivamonte, protagonista di un rito primaverile propiziatorio che si svolge nelle vie e nelle piazze del paese.
Secondo gli esperti di miti e leggende europee “l’albero è un simbolo cosmico, considerato un essere animato, in grado di rendere fecondi i campi, di far cadere la pioggia, di far splendere il sole. L’om selvarech, che ne è rappresentazione, incarna lo spirito della vegetazione nella delicata fase equinoziale. Rivestito di foglie e rami, si crede abbia un influsso fertilizzante sulla natura che comincia a risvegliarsi”.
Nel Centro Visitatori del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, ad Agordo, è stata allestita una sezione sulla figura leggendaria dell’Om selvarech.
Rivamonte è il nome amministrativo dato al Comune formato da un agglomerato di frazioni sparse sulla costa di una collina che degrada verso la Val Pettorina, dal nome del torrente che alimenta il Cordevole, affluente del Piave.
Nei secoli gli abitanti di Rivamonte hanno fatto i contadini e boscaioli, integrando quando possibile le magre risorse raccolte col lavoro di minatore in una vicina miniera di pirite attiva fino agli anni ’30 del ‘900 e i seggiolai (di sedie impagliate). Dal mondo agropastorale è nata la millenaria leggenda dell’uomo selvatico, uomo che vive nei boschi vestito di rami e di foglie e che conosce i segreti della lavorazione del latte, segreti che ha rivelato all’uomo (questo motivo è ricorrente in altre leggende di derivazione celtica).
Quando mia nonna lo citava era per fare paura a noi bambini, ma per quanto detto sopra nel paese viene considerato un “eroe positivo” e fatto diventare, dalla popolazione di Rivamonte, protagonista di un rito primaverile propiziatorio che si svolge nelle vie e nelle piazze del paese.
Secondo gli esperti di miti e leggende europee “l’albero è un simbolo cosmico, considerato un essere animato, in grado di rendere fecondi i campi, di far cadere la pioggia, di far splendere il sole. L’om selvarech, che ne è rappresentazione, incarna lo spirito della vegetazione nella delicata fase equinoziale. Rivestito di foglie e rami, si crede abbia un influsso fertilizzante sulla natura che comincia a risvegliarsi”.
Nel Centro Visitatori del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, ad Agordo, è stata allestita una sezione sulla figura leggendaria dell’Om selvarech.
1 commento:
Giorgio, qui fra Lasco, Dolcino e om selvarech mi trovo im minoranza, col mio romagnolo Passatore, che era tutt'altro che cortese: una sera con la sua banda di 42(quarantadue!) briganti, invase il teatro di Forlimpopoli e derubò tutti i borghesi della città, che erano venuti per lo spettacolo, ma lo spettacolo furono loro.
Arnaldo Fusinato (quello de sul ponte sventola / bandiera bianca) ci scrisse su una poesia satirica nel 1851: "Il Passatore a Forlimpopoli", che comincia così:
E' scura l'aria, la notte cade
Di Forlimpopoli sulle contrade
La città tutta dorme assopita
Sol nel teatro freme la vita
........
grazie Giorgio e saluti
Primo
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