di alberto
La domanda è: quanto è lecito dispiacersi per la morte di un albero? Tanto più se gli alberi sono tre.
Avete presente il pratone della Villa Reale, quello dove in giugno fanno i fuochi artificiali? Se guardate dal salone grande della Villa, di fronte vi trovate due belle querce, un po' segnate dagli anni, ma che fanno sempre la loro figura. Poi, volgendosi appena a sinistra, il cannocchiale grande: oggi inquadra una palazzina che, grazie a google maps, senza nemmeno alzare il sedere dalla poltrona, si scopre trattarsi della sede di una ditta di ricambi per carrozzerie al civico 168 di via Lecco. In attesa che crescano gli alberelli che dovrebbero chiudere lo sfondo; io ci avrei piantato anche qualche pioppo a crescita molto rapida, salvo toglierli una volta cresciuti gli alberi più lenti. Più a sinistra ancora si vede un grande faggio pendulo, anzi, a guardar bene, sono una decina di faggi penduli: tutti insieme simulano la chioma che aveva l'unico maestoso albero dello stesso tipo che esisteva ai tempi miei, e sotto il quale si poteva giocare per pomeriggi interi.
All'estrema sinistra del prato c'era uno straordinario gruppo di tre faggi rossi, piantati un po' troppo vicini tra loro. Crescendo fino a diventare giganteschi esemplari adulti, avevano dato luogo ad una chioma unica, avendo ognuno rinunciato a sviluppare rami nella direzione degli altri due. Perché ne parlo al passato pur essendo ancora apparentemente al loro posto? Perché, ahimè, uno dei tre si è reso defunto, una specie di infarto. Me ne sono accorto lo scorso autunno, quando le foglie, invece di appassire e cascare una alla volta come sempre, si sono come contratte, rimpicciolite, e seccate tutte insieme. E anche gli altri due stanno assai poco bene. Qualche giorno fa, passeggiando come il solito da quelle parti, ci ho trovato un giovane agronomo, che non solo ha confermato il mio referto autoptico, ma mi ha informato sul pessimo stato di salute dei due alberi superstiti: mi ha mostrato il tracciato di una specie di elettrocardiogramma, non lo sapevo, ma si eseguono prove penetrometriche come quelle per verificare la portanza dei terreni: in un albero sano il tracciato è una spezzata in una zona intermedia della strisciolina di carta; in un albero malato la spezzata è tutta nella parte inferiore, verso lo zero: l'ago cioè non incontra resistenza alcuna alla penetrazione. Gli ho detto che per me era un grande dispiacere, come la scomparsa di una persona cara. Mi ha risposto dicendomi di non bestemmiare, che gli alberi non sono persone e che la pietà bisogna riservarla agli umani. Sul momento mi sembrava mi avesse convinto, ma ripensandoci non sono più tanto sicuro. In forme diverse ci si affeziona moltissimo agli animali, perché allora non anche alle piante?
per le foto ringrazio la mia sorellina Dida Paggi
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venerdì 25 marzo 2011
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