di Gauss
Da sinistra, Gherardo Colombo, la presidente di Novaluna
Annalisa Bemporad e Gustavo Zagrebelski
Anni fa, da
un viaggio di lavoro (credo in India, allora ero sempre in giro) ho portato in
regalo a mia moglie un bel braccialetto d’argento tempestato di pietre scure. E’
un cerchietto a forma di serpente con la testa che tenta di morsicare l’estremità
della sua stessa coda. Non sapevo che si chiamasse uroboro (parola di radice
greca, letteralmente “che morde la coda”) né che fosse una antichissima figura
mirante a significare il mito dell’eterno ritorno, l’unione della fine con l’inizio.
L’ho saputo solo venerdì scorso da Gustavo Zagrebelski durante l’interessante e
affollata serata di Novaluna che l’ha invitato, insieme a Gherardo Colombo, a
dibattere il tema “Quale democrazia per l’Italia?”
L'uroboro indiano
Zagrebelski
ricorre all’immagine dell’uroboro per dare un’idea plastica della
“finanziarizzazione” dell’economia e della politica in cui vede una delle più
pericolose minacce alla democrazia. Il denaro – dice Zagrebeslki – non è più
destinato come in passato a procurare altre cose, costruire chiese e palazzi,
nutrire popolazioni, armare eserciti e fare guerre, cose utili o dannose, ma
comunque cose diverse dal denaro. Oggi il denaro serve a fare denaro. Lungi
dall’essere uno strumento al servizio del sovrano (il fallimento degli Stati è una
novità del nostro tempo) si è messo al servizio di se stesso e con ciò si è seduto sul trono al posto
del popolo sovrano (“pecunia regina mundi”). Un detto tramandato dalla saggezza
popolare ammonisce che i soldi sono lo sterco del demonio. Nell’uroboro il serpente, personificazione edenica del demonio, avvicina la
bocca alla coda per nutrirsi dei suoi propri escrementi, con ciò producendone
di nuovi in un processo senza inizio e senza fine. E proprio come l’uroboro, anche la
finanza è un mostro che divora denaro per produrre denaro. L’avessi saputo
prima di quel viaggio, l’uroboro di mia moglie sarebbe rimasto al suo posto nella
gioielleria indiana, mica è roba da farne dono alle signore.
Michelangelo, Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre, Roma (Cappella Sistina)
Salto di
palo in frasca – un esercizio in cui per la verità si sono cimentati con
successo anche i nostri oratori – per
commentare da bastian contrario un paio di altri passaggi della
memorabile conferenza di Novaluna.
Sia
Zagrebelski che Colombo segnalano con forza che la democrazia non è il
“bengodi”, è un sistema complicato che chiede attenzione e coinvolgimento perché
nel concetto di “res publica” è contenuto sì il senso della comproprietà, della
condivisione dei pubblici beni, ma insieme anche quello della ripartizione del peso
del potere su tante spalle: «Governare – dice Zagrebelski – non è una festa».
Tiziano, Sisifo, Madrid (Museo del Prado)
Colombo si
spinge a sostenere che la libertà è perfino dannosa, se non è assistita
dall’impegno che occorre per gestirla, tanto varrebbe tornare alla società
gerarchica e piramidale dei tempi andati, che si reggeva sull’obbedienza,
mentre la democrazia necessita di molto di più. Perché funzioni ognuno deve
dare il suo contributo di conoscenza e responsabilità, deve battersi di persona
per ciò che gli preme, non fidarsi di altri né affidarsi ad altri. Il pubblico
in sala, me compreso, ascolta in silenzio, come avvinto in un esame di
coscienza collettivo («E io, lo faccio il mio democratico dovere? »). Arriva però a scuotermi un'affermazione: “la democrazia è incompatibile con la delega”. Questo
no, proprio non ci sto. Sarà incompatibile con la democrazia diretta, quella
che piace ai grillini che straparlano di mandato imperativo, che si illudono di
controllare tutto col web, sarà forse incompatibile con la democrazia referendaria
di Pannella, che chiamerebbe il popolo a consulto anche per il prezzo del
biglietto del tram, non certo con la “vecchia” democrazia
parlamentare e rappresentativa che piace a me (piaceva anche ai padri costituenti), quella fondata sulla delega di
rappresentanza che da elettore affido al mio rappresentante eletto senza
pretendere di pilotarlo a distanza (lo so che il porcellum l’ha stravolta, ma non è certo colpa della delega).
La prima seduta dell'Assemblea costituente
Arriva il
momento di raccogliere domande dal pubblico e un malcapitato spettatore, in una
sincera e, col senno di poi, improvvida manifestazione di stima e di fiducia,
chiede sia a Colombo che a Zagrebelski: «Perché non trasformate Libertà e
Giustizia, il vostro “pensatoio” politico, in un partito politico? Avremmo
finalmente persone degne e capaci da eleggere». La risposta di Zagrebelski è garbatamente ironica: «Lei è già iscritto a
Libertà e Giustizia? No? Si iscriva, così potrà contribuire direttamente a quel
miglioramento della politica italiana che si aspetta da noi». A rincarare la
dose provvede Colombo. Non si può sempre assistere, bisogna entrare in campo, schierarsi
e partecipare. Riaffiorano le esperienze del magistrato che ha portato alla
luce i più gravi misfatti dell’Italia repubblicana, Sindona e l’assassinio di
Ambrosoli, la P2, Tangentopoli. Ne parla con amarezza, perché tutto è scivolato
via, nessuno ne parla più, come se non fosse successo nulla. Una nebbia
omertosa, un’ignoranza colpevole. Colpa di chi? Di tutti, la chiamata in
correità non risparmia nessuno. Rivela quella che considera la ragione vera dell’esaurimento
dell’inchiesta Mani pulite e dello scioglimento del pool di magistrati che l'aveva condotta: «Finché mettevamo dentro i politici importanti, le alte sfere
dell’Amministrazione e i grandi industriali la gente si indignava e ci
osannava. Poi abbiamo dovuto occuparci del piccolo cabotaggio, ci sono finiti
fra le mani il macellaio che con un quarto di bue eludeva i controlli della
vigilanza, il finanziere che prendeva la mazzetta, il medico compiacente che
esentava dal servizio militare il rampollo di una famiglia facoltosa, ecc. La
gente ha capito che, uno dopo l’altro, sarebbe arrivato il turno di tutti. E il
favore popolare si è rivoltato in avversione». Una spiegazione plausibile, confermata
anche dal perdurante successo elettorale del partito del lassismo fiscale e penale.
E tuttavia si affaccia una domanda, che rimane senza risposta: «Ma il
magistrato, il pubblico ministero in particolare, non è “soggetto alla legge e
solo alla legge”? O dobbiamo pensare che è “soggetto solo alla legge che non urta il
favore popolare, che oltretutto mica è facile da trovare”?»
Gauss
Gauss
5 commenti:
Grazie a Gauss, come d'altra parte a Giorgio Casera per il resoconto sulla gita a Verbania, per i loro generosi tentativi di rianimare il nostro blog . Credo che tra tutti possiamo esser contenti del risultato dei nostri incontri. Anch'io avrei qualche modestissima riserva su quanto abbiamo sentito,
ma confesso che il piacere di ascoltare e vedere dal vivo invece che dietro il vetro o la plastica dei nostri televisori personaggi del calibro di Zagrebelsky e Colombo mi fa passar sopra a tutto.
Anzitutto molti complimenti per l'iniziativa del ciclo di conferenze e per l'impegno ad animare il dibattito culturale sulla politica, qualcosa che di cui si sente grande mancanza nel Paese.
Ho molto apprezzato l'intervento di Gustavo Zagrebelski e anche molte cose dette da Gherardo Colombo.
Noto però che nella bella sintesi pubblicata non si fa cenno al fatto che il Dott. Colombo ha criticato pubblicamente la scuola e la categoria degli insegnanti, non già con osservazioni mirate e con dati inoppugnabili, ma dando voce ex cathedra (lui sì, sebbene abbia dichiarato che i docenti dovrebbero farne a meno) ad una serie di luoghi comuni che non mi sarei atteso da un personaggio di tale livello. Sono dispiaciuto, perché se davvero si vuole esortare ad un maggiore impegno per cambiare questo Paese, credo che non sia corretto attaccare quell'àmbito del sistema istituzionale che più di molti altri è fuori dai 'giri' evocati da Zagrebelski, così misere essendo le spoglie da spartire nel settore.
Si tratta di un approccio scoraggiante e avvilente per quei moltissimi insegnanti che, fra mille difficoltà, privi di gratificazioni e anzi spesso sotto il tiro dell'opinione pubblica, animati da spirito di servizio e da una grande passione per il loro mestiere, cercano di tenere in piedi un'istituzione insostituibile per le sorti del Paese.
Credo che proprio sulla scuola occorrerebbe fare una riflessione assai più seria, andando ad esaminare, oltre alle storture e ai limiti che sicuramente ci sono, anche i mezzi e le condizioni in cui ci si trova a lavorare e magari anche quelle non poche virtù che fanno di questa istituzione un luogo significativo di crescita e di maturazione civile e democratica per i nostri giovani: la vera sfida di noi insegnanti è convincerli (anzi, convincerci insieme con loro) che il mondo che li attende non è così definitivamente rovinato (dai 'giri' e da altro), che può ancora essere cambiato.
Per questo scopo abbiamo bisogno del sostegno di tutti!
Ringrazio per l'attenzione,
Pietro Cappelletto
(docente presso il Liceo Zucchi di Monza)
pietro.cappelletto@gmail.com
Gli apprezzamenti di Alberto e del professor Cappelletto mi fanno ovviamente molto piacere, ma anch'io li giro a Novaluna che ha il grande merito di proporre temi di interesse a relatori che li affrontano in modo autorevole e stimolante insieme.
Capisco la reazione del professore, la furia di Gherardo Colombo contro il nichilismo imperante, impastato di conformismo, ignoranza e indifferenza, non ha risparmiato il mondo della scuola. Secondo lui, che le scuole italiane le frequenta molto nel suo lodevole impegno di educazione alla legalità rivolto alle giovani generazioni, sono affette da nozionismo acritico, all'insegna del principio "l'insegnante ha sempre ragione". Quanto sia vero non saprei, non è il mio mondo, però confesso che anch'io, a sentire che la scuola "addestra cani da riporto" ho provato un senso di fastidio. Devo aggiungere che ai miei tempi, quando ero allievo dello stesso liceo del professore, il tocco personale, per non dire l'interpretazione critica che mi sembrerebbe eccessivo, era non solo accettato ma auspicato e richiesto. Certo che, se risultava banale, superficiale o, peggio, stupidamente irriverente ti arrivava il rimbrotto del sagrestano della Tosca "scherza coi fanti e lascia stare i santi".
capisco
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