di giorgio casera
Ci avevo già pensato ai tempi di Primo. A sentirlo parlare di arte, di cinema ( e altro ancora) o leggendo i suoi scritti (nei Bei Momenti, i post dei vari blog, alcuni raccolti da Novaluna nel libro “Novellette degli odori”, e poi, quello che considero un grande racconto. “La grande bua”) riusciva difficile pensare che nella parte più creativa della sua vita avesse fatto il rappresentante commerciale o il marketing manager (peraltro con ottimi risultati) in una grande multinazionale.
Come avrà fatto, pensavo, a discutere con i clienti di computer, di sistemi informativi, di contratti, se dentro gli rodeva un altro fuoco? Poi, però, pensavo che le necessità della vita impongono scelte drastiche, non sempre quelle auspicate. Forse che Fenoglio non commerciava in vini delle Langhe? E Joyce non faceva l’insegnate di inglese quando si trovava a Trieste? e Svevo, e tanti altri ancora? Concludevo: è stato un vero peccato, abbiamo perso uno scrittore di saggi o di romanzi, oppure un critico d’arte, ma non c’erano alternative!
Ma quello di soffocare il proprio talento o di ignorare di possederlo deve essere un fatto più diffuso di quanto si creda. Ma prima o poi viene fuori. Posso citare l’esempio di Claudio (anche lui una vita tra informatica, processi aziendali e così via): in un tempo in cui (opinione personale!) la musica si gusta seduti comodamente nella poltrona di casa o di un teatro, Claudio ha deciso di prendere (seriamente) lezioni di piano.
Non ci resta che assistere ad un suo concerto, quando deciderà di condividere i risultati di questa scelta.
Ma l’esempio più recente di talento ignorato per anni ed infine rivelato è quello di Giuseppe. La sua mostra di quadri visti domenica scorsa alla FAL di Lissone mi ha impressionato per qualità, per varietà di stile, armonia, scelta del colore etc.(non sono un critico d’arte!).
Giuseppe, nella presentazione della mostra, ha confessato di essere arrivato tardi ed in modo casuale a scoprire la sua inclinazione. Ma, visti i risultati, era già una volontà e capacità potenziale, anche se inespressa.
Dicono che un quadro piace quando tra l’immagine rappresentata e chi lo guarda si stabilisce una sintonia, anche irrazionale.
La prima conseguenza di questa sintonia è immaginare come starebbe bene su una parete di casa, in un punto dove ogni giorno, quando lo si guarda, si scoprono particolari e significati nuovi. Beh, domenica ho ripetuto l’esercizio più volte!
P.S. Le foto dei quadri di Peppo sono di Franco Isman.
Questo blog era fermo da qualche anno.
Vorremmo ridargli vita dandogli una funzione
un po' diversa, quella di BACHECA,
dove chiunque tra i nostri soci e amici
possa postare direttamente considerazioni,
pensieri, suggestioni, filmati, propri o altrui.
Qui le istruzioni per l'uso.
Visitate anche la nostra pagina Facebook
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Ringrazio Giorgio (alias Ottavio) per la bella e lusinghiera recensione! Quanto meritata, non saprei, credo però di poter dire qualcosa sui talenti nascosti.
Accade che un giovane, assecondando le sue predilezioni, imbocchi un percorso alla fine del quale si trova professionalmente qualificato e, insieme, socialmente connotato. Da adulto, quanto più si impegna nel suo lavoro e quanto più successo riscuote, la sua persona e il suo ruolo professionale si sovrappongono e si confondono. Diventa per tutti, anche per lui stesso, l’ingegnere, il medico, l’avvocato, il professore, l’architetto, il capitano, il presidente (e non vale solo per le professioni cosiddette nobili, vale anche per il meccanico, l’oste e il macellaio), come se non ci fosse altro, nella sua vita, che la funzione che onorevolmente svolge.
Ma è solo una convenzione di comodo, talvolta perfino una mistificazione (Mussolini teneva sempre accese le luci del suo ufficio a Palazzo Venezia, perché il suo ruolo era incompatibile con il riposo, il popolo pretendeva che governasse anche di notte. Berlusconi, per non essere da meno, dice che gli bastano tre/quattro ore di sonno, quanto dorma Renzi non lo sappiamo ancora, ma non mi meraviglierei se ci confessasse di soffrire di insonnia). Insomma, il copione della vita ci assegna una parte, e noi la interpretiamo al meglio, un po’ perché ci piace e un po’ perché piace al pubblico.
Calarsi in ruolo diverso da quello dell’ufficialità può quindi rivelarsi un salutare esercizio di sincerità, se non vogliamo dire di verità. Io ci ho provato con la pittura, e posso assicurare che con i colori, particolarmente con le loro tonalità, “non c’è trucco e non c’è inganno”. E’ un po’ come con il timbro della voce, che bastano poche parole per squadernare lo stato d’animo di chi le pronuncia.
Giuseppe (alias Gauss)
Posta un commento