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lunedì 1 luglio 2013

Verdi attraverso le lettere

di giorgio casera
E’ un Verdi inedito quello che compare attraverso le lettere amorevolmente raccolte da Eduardo Rescigno e stampate da Einaudi in un bel volumone. Sicuramente diverso dall’immagine edulcorata che emergeva dai libri di storia della scuola media quando l’artista, pur colpito da avversità di ogni tipo e da disgrazie familiari, riusciva a far rifulgere il suo genio diventando uno dei simboli del Risorgimento.
Ora, quanto al genio (musicale), niente da dire! Nel melodramma ha pochi rivali, per quantità e qualità di produzione. Verdi vivrà nel tempo in cui “la musica italiana, aulica ed aristocratica per tradizione, sta per scoprire il popolo”, e certamente seppe interpretare il cambiamento di gusto musicale, indotto dalla situazione politica e sociale dell’epoca, “dal melodramma amoroso di Bellini e Donizetti al dramma musicale sollecitato da Mazzini”. (le citazioni sono di Massimo Mila, ndr).
Ma dalle lettere, che coprono il periodo dell’intera sua vita, emerge dapprima la figura di un giovane ambizioso (ma di un’ambizione ben supportata da altrettanto talento) che non si rassegna ad una esistenza tranquilla e mediocre in provincia, e in seguito la figura di un imprenditore di sé stesso, che intende vedersi riconoscere, anche economicamente, il valore delle sue opere.
E’ questa la parte più nuova ed interessante della raccolta, e giustamente Rescigno si sofferma, nella presentazione del suo ultimo lavoro, su questi aspetti. Ci presenta un giovane Verdi che, dopo un tirocinio musicale di base con maestri del suo paese, viene a studiare a Milano con una “borsa di studio” del Monte di Pietà e con il sostegno e l’incoraggiamento del direttore della locale società filarmonica, Barezzi. Non viene ammesso al Conservatorio perché verrà considerato insufficiente come pianista anche se promettente come compositore. Rimane comunque a Milano e continua gli studi sotto la guida del maestro Lavigna. E’ un giovane di belle speranza ma squattrinato e alla continua ricerca di una sistemazione stabile e decorosa. Con l’aiuto del suo maestro potrebbe diventare Maestro di cappella del Duomo di Monza (lettera-domanda di assunzione piena di superlativi, come evidentemente si usava) . Impiego che prevede un compenso di circa 2000 lire, stipendio, per l’epoca, di tutto rispetto.
E qui si verifica una vicenda degna della miglior commedia (cinematografica) italiana: alla notizia che Verdi, gloria locale, potrebbe definitivamente trasferirsi “al nord”, gli abitanti di Busseto scendono in piazza, si direbbe oggi, e fanno tanto trambusto da impensierire la Duchessa Maria Luigia.
A seguito di ciò Verdi, amareggiato, rinuncia al probabile incarico monzese e rientra al suo paese rassegnandosi a fare il Maestro di musica del Comune, ruolo modesto con stipendio modesto. Resiste due anni in questa mediocrità ma infine prende la decisione definitiva: si trasferirà senz’altro a Milano e troverà in qualche modo il suo spazio nel mondo musicale. Verifica se il posto nel Duomo di Monza è ancora vacante e, avendo avuto risposta negativa, mette sul mercato una prima opera, Oberto, Conte di S. Bonifacio.
Giuseppe Verdi
L’opera ha un discreto successo, 14 rappresentazioni alla Scala e allora arrivano le commesse. In quei tempi erano i vari impresari a commettere un’opera al compositore. Quest’ultimo riceveva il compenso pattuito a lavoro concluso e da quel momento l’opera diventava di proprietà del committente, per qualunque successivo sfruttamento commerciale.
Verdi vende questa sua prima opera per 2000 lire e si rende conto che il suo talento viene sfruttato dagli altri. La cosa non gli sembra giusta (lo scrive in una lettera ad un amico) e si da da fare per cambiare le cose. Dall’alto del suo talento musicale “obbliga” il suo editore musicale, Ricordi, a riconoscergli una percentuale come diritto d’autore, sulla stampa degli spartiti delle sue opere, assicurandosi in questo modo rendite perpetue.
E’ solo il primo passo. La musica di Verdi e il soggetto delle opere sono un grande mix nazional popolare con grande successo di pubblico. Va da sé che le commesse aumentano (verranno in rapida successione Nabucco, I Lombardi, Ernani fino allo Stiiffelio, 13 opere in 8 anni!)e i cachet si aggiornano. Le 2000 lire iniziali salgono fino a 30.000 per toccare le stratosferiche 150.000 de l’Aida e poiché Verdi, oltre che ottimo imprenditore di sé stesso era anche un ottimo amministratore dei suoi soldi, diventerà ben presto un ricco proprietario terriero. Ricco e generoso nei confronti di conoscenti ed artisti in difficoltà (finanzierà tra l’altro la Casa di Riposo per artisti in Milano).
Lettera a Boito

Tra le lettere lette con grande cura da Patrizia Cattaneo molto bella quella scritta ala sorella della seconda moglie pochi giorni prima di morire, dove sono presenti presagi sulla sua fine vicina.
Compaiono anche delle curiosità, come quelle legate alla censura del tempo, per cui nel Rigoletto, il re di Francia diventa duca di Mantova (un re non poteva rivelarsi un essere abbietto!). Non può neanche essere oggetto di un attentato (visti i tempi meglio non mettere strane idee negli spettatori!), così nel Ballo in maschera il re di Svezia diventa il conte Riccardo, improbabile governatore inglese di Boston.

La serata di Novaluna non poteva che concludersi ai tavoli di un ristorante. E qui abbiamo assistito ad un impagabile ed esilarante duetto tra lo stesso Rescigno e un suo accompagnatore, il sig. Monti, appassionato collezionista di incisioni d’epoca, di voci e musiche del melodramma. Abbiamo così potuto ascoltare, alternandoli ai piatti della cena, le voci di Tamagno, Giannini, Caruso, Titta Ruffo (il più grande Jago, secondo Monti) e altri su incisioni risalenti ai primi del ‘900, e della figlia di Giannini, Dusolina, su un disco anni ’30. Dischi 78 giri riprodotti su un grammofono rigorosamente d’epoca!
Degna serata dopo un interessante pomeriggio in libreria.

venerdì 22 febbraio 2013

Garibaldi si riprende la sua piazza

di Alfredo Viganò

Primi ‘900 in Piazza


Finalmente dopo 66 anni, l’undici di marzo la Statua in Marmo di Garibaldi, restaurata, verrà traslata in Piazza Garibaldi e il 17 vi sarà l’inaugurazione. Gianna Parri per l’Associazione mazziniana ed io per Novaluna, che abbiamo raccolto i fondi necessari ne siamo particolarmente lieti avendo vinto la nostra battaglia pluriennale contro i detrattori dell’Unità d’Italia.
Alfredo Viganò


Il nuovo posizionamento in Piazza ( fonte Comune)
A mio parere sarà un poco più grande di quanto appare qui


Da qualche anno alcuni di noi ( in particolare Gianna Parri per l’Associazione mazziniana e io per Nova Luna, ci stiamo interessando per il recupero della statua originale in marmo di Garibaldi e il suo ritorno nella omonima piazza a Monza.
La statua è di uno scultore egregio Ernesto Bazzaro ( 1859-1937). La scultura mi risulta la prima dedicata a Garibaldi: già nel 1882 il Consiglio di Monza decise per il Monumento all’Eroe dei due mondi e dopo sottoscrizione e concorso fu realizzato affidandolo allo scultore Bazzaro. Purtroppo poi, ritenendola impropriamente in degrado (1912), fu sostituita con una copia in bronzo nel 1915, e il Monumento originario finì buttato a terra nel terreno della scuola. Quella in bronzo, poi emarginata ai Boschetti in posizione laterale allora (1937)  ritenuta migliore, è oggi visibile tra il fitto delle piante lungo via Margherita di Savoia. Ci fu nel ’46 anche chi voleva che Garibaldi fosse posto in Piazza Citterio spostando Vittorio Emanuele nei Giardini di Villa reale.
Devo dire che tanti anni fa ero nel cortile dell’Istituto Olivetti per un incontro, passeggiando, forse ero con Crippa, già assessore e oggi Presidente di Novaluna, avevo notato con sorpresa, che contro la muratura verso via De Leyva e sotto tubi di cemento e cartelli stradali giaceva a terra la Statua che è opera monumentale e storicamente rilevante. Monza non è aliena da simili comportamenti, purtroppo, vista la demolizione di opere rilevanti e monumentali. L’allora assessore era l’indimenticabile amica Giovanna Mussi che fece provvedere a spostare e alzare la statua contro l’altro alto muro di confine opposto.
Mi interessai poi della cosa quando ero assessore e preparammo un progetto per il restauro e chiedemmo parere alla Soprintendenza. Sono passati anni e anche per interpellanza in Consiglio come consigliere e le richieste di Gianna, per la attenzione dell’assessore Mangone, si è ripresa la questione in occasione del centenario dell’Unità d’Italia.

Il progetto anni 2004 


Qualche bega con il Sindaco di allora e la Lega, contro Garibaldi, hanno ritardato di molto il restauro. Soldi raccolti da privati non si erano neppure potuti spendere per irragionevoli motivi. Tuttavia l’assessore riuscì con buona volontà a far partire il restauro della Statua e ora mancavano soldi per completar il tutto col trasferimento e la scelta della posizione nella Piazza..
Manca purtroppo la targa in bassorilievo dove Garibaldi era ritratto seduto che guardava il mare dall’isola di Caprera e probabilmente finita fusa per la scellerata guerra. La puntigliosa ricerca dell’amica Gianna è rimasta infruttuosa  La statua è mutilata della mano sinistra e resterà così.

Il Monumento ora all’Olivetti


Ci siamo rimessi all’opera completando con successo la raccolta di fondi e ora, dopo l’approvazione della Soprintendenza e il coordinamento del Comune (arch. Fulvia Bonfanti),  siamo a termine. Tra pochi giorni 
(11 di marzo) la Statua verrà imbracata con una apposita gabbia di ferro e traslata in Piazza Garibaldi dove si è provveduto in queste settimane a sistemare il basamento. Basamento modificato in altezza , ma simile a quello originario. La posizione è quella nello slargo a lato destro della facciata de Tribunale, come era previsto nella prima proposta  all'epoca della Amministrazione Faglia.. Il 17 vi sarà l’inaugurazione a cui saremo presenti spero in molti.
Un grazie a tutti anche per le donazioni liberali che hanno consentito l’attuazione di questo desiderio da anni coltivato e pensiamo proprio che la Città ne guadagni. Tutti finalmente potranno ammirare l’opera e ricordare un grande Personaggio italiano, di statura europea e mondiale.




lunedì 18 febbraio 2013

Piccolo particolare

di Alberto


Se guardate con attenzione le foto allegate scoprirete, come nella Settimana Enigmistica, che hanno in comune un particolare, nemmeno tanto piccolo. Per darvi tempo di individuarlo vi dirò chi sono i personaggi: quello che non sono io è Giulio Confalonieri, nella foto con il soprano Carolina Segrera. Era un grande musicista e musicofilo, famoso critico musicale. Fu autore di un libro, Barboni a Milano, che a suo tempo gli diede notorietà e successo, nonché soprattutto di una eccellente storia della musica. 























 Si sussurra che sia stato l'autore della famigerata domanda sul controfagotto a lascia o raddoppia, che fece versare inchiostro a fiumi sui giornali dell'epoca, e che si difendesse dalle accuse di eccessiva difficoltà sostenendo che suo cognato Guelfo, mio prozio, non avrebbe avuto difficoltà a rispondere.
Ma torniamo a noi: cosa abbiamo in comune? Avete indovinato: il cappello.
Che non è simile, è proprio quello, il suo.
Trattasi infatti di un magnifico Borsalino, oggetto quasi di lusso, di quelli che non mi sarei mai comprato: è del tipo che non mi voglio permettere.
E' morbido, non foderato, si può schiacciare e strapazzare e con due carezze torna miracolosamente a posto.
Questo è appena un po' incencicato perché appallottolato in un cassetto c'è rimasto per più di trent'anni. Ce l'ho ritrovato mentre smontavo la casa della mia zia Baby, che era sua nipote, e si doveva trasferire in casa di riposo.
Come faccio a volte con i pantaloni alla zuava da roccia del povero Marco, mio cognato, che ogni tanto tiro fuori dall'armadio per fargli fare una giratina in montagna, a volte mi viene la voglia di indossarlo e di portarlo in giro.
Quando mi riesce di trovare i biglietti per la Scala, dove è stato di casa quasi tutte le sere per tanti anni, non lo dimentico mai.

martedì 12 febbraio 2013

Londra e la signora Thatcher

di giorgio casera

La visita a Monza di Antonio Caprarica su invito di Novaluna per la presentazione del suo ultimo libro (Ci vorrebbe una Thatcher, sottinteso per l’Italia) mi ha ricordato una lontana esperienza.

Nel 1978 ero stato spedito dalla mia azienda a Londra per partecipare ad un progetto internazionale. Poiché la durata del progetto era di sei mesi avevo il diritto di portare con me la famiglia, cosa che feci senz’altro: sarebbe stata un’esperienza irripetibile. D’altronde i benefits applicabili in quella circostanza prevedevano il rimborso dell’affitto di una abitazione adeguata e del noleggio di un’auto.
Ealing
Presi dunque casa (il pianterreno di una bella villetta, con annesso giardino (curato e bellissimo), ad Ealing, quartiere della parte occidentale di Londra, non lontano da Greenford (a NO del centro), dove aveva sede il progetto. Potemmo così vivere, nel migliore periodo per Londra, da aprile a settembre, “immersi” nella società inglese (di fronte a casa c’era un campo di cricket, più inglese di così!). Vicini di casa e negozianti simpatici e cordiali (e non era raro incontrare qualche inglese che parlava un buon italiano). E poi, era eccitante vivere nella nazione di chi aveva rivoluzionato la musica leggera o la moda. Fummo subito colpiti da novità come le rotonde (round about) o i distributori di carburante automatici, in Italia ancora da venire.

L’ambiente di lavoro, formato da colleghi provenienti da tutta Europa, naturalmente con forte presenza di britannici, era molto stimolante, l’assistenza logistica agli europei del Continente molto curata.
Kensington e Hyde Park
Rientrati in Italia abbiamo ricordato a lungo le magnifiche domeniche trascorse nei parchi di Londra interrotte dalle visite ai bellissimi musei della città o ai mercatini di Charing Cross o lungo la Bayswater Road o al grande giardino zoologico (i miei figli avevano allora 5 e 3 anni). Ci pensavo anche mentre parlava Caprarica in libreria, con una punta di nostalgia.
National Gallery
Il periodo di grazia che stavamo vivendo non ci aveva impedito di notare certe situazioni, certi contrasti. L’Inghilterra non se la passava troppo bene. I miei colleghi inglesi erano i più “poveri” d’Europa: lo si notava dallo stile di vita, molto sobrio, dall’abbigliamento e… dall’attenzione alle spese (e non erano tutti scozzesi!). Il dott. Abelson, a cui mi ero rivolto per l’assistenza medica familiare, mi aveva parlato amaramente della crisi del Servizio Sanitario Nazionale (per quanto quando ne ebbi bisogno lo trovai inappuntabile!). La filiale inglese della multinazionale (una delle quattro “major” in Europa, le altre erano Germania, Francia ed Italia) arrancava di fronte ad una crisi economica generale e alla concorrenza di una società nazionale. Tant’é che per ospitare il progetto era stata presa in affitto una vecchia caserma dei pompieri, con ambienti molto spartani. Inoltre nei nostri viaggi domenicali da Ealing al centro di Londra, non potevamo fare a meno di notare qua e là zone sottoposte a degrado, sia pure ancora con segni di un passato splendore.

Il Prime Minister in carica era Callaghan, un laburista proveniente, credo, dal mondo sindacale, e non molto amato, con mia sorpresa, dai miei colleghi inglesi. In precedenza un’alternanza laburisti – conservatori (Wilson, Heath) che probabilmente non aveva saputo applicare una strategia che permettesse alla nazione di competere con gli altri Paesi industrializzati. Nel periodo londinese avevamo un’insegnante di inglese, Barbara, una ragazza neozelandese che si pagava così gli studi a Londra. Restammo in corrispondenza per qualche mese dopo il nostro rientro a Monza e ricordo le sue lettere nell’inverno ’78-’79 in cui ci raccontava di attraversare l’inverno più triste della sua vita (scioperi continui nei servizi pubblici, un senso di malinconia sui visi delle persone, incertezza sul futuro).
Callaghan non concluse la legislatura, dopo tre anni indisse nuove elezioni. E nell’aprile 1979 arrivò il ciclone Thatcher.

martedì 5 febbraio 2013

Il recupero della Costa Concordia

di Gauss

Il mio amico americano Joe Plaski mi ha mandato una interessante documentazione, ricca di immagini e di dati tecnici, relativa al progetto di recupero della Costa Concordia, un'impresa di ingegneria navale senza precedenti. Il rapporto di Joe è una sintesi del programma televisivo "Sixty minutes" della CBS, che ha dedicato una puntata alla Costa Concordia (http://www.cbsnews.com/video/watch/?id=50137223n). L'ho tradotto riducendolo ulteriormente a una successione di immagini corredate di didascalia.
L'impresa è gigantesca, tale da giustificare l'interesse che suscita in America (più che da noi). A un anno dal disastro, la nave giace ancora su due spuntoni di roccia in un’area marina protetta (barriera corallina). Non può quindi essere smantellata in loco, deve essere rimossa, ciò che pone innumerevoli difficoltà.
Non solo è il più problematico, complesso e costoso salvataggio mai intrapreso, è anche estremamente rischioso, nessuno può dire con certezza che avrà successo. Teniamo presente che la nave pesa 60.000 tonnellate e che il 65% del suo volume è sommerso e pieno d'acqua.
La rimozione del relitto è programmata per l'estate-autunno del 2013. Se l’operazione per qualche imprevista circostanza dovesse fallire, non ci sarebbe altro da fare che smantellarlo in loco, con un gravissimo impatto ambientale. Se tutto andrà come pianificato, la Costa Concordia sarà rimorchiata a un bacino di rottamazione lontano dal Giglio, si parla di Palermo, ma anche di Livorno. La rottamazione richiederà 2 anni di lavoro.
 
Nel gennaio del 2012, la nave da crociera Costa Concordia ha urtato uno scoglio al largo dell'isola del Giglio. Da allora è il più grande relitto di nave passeggeri di tutta la storia della navigazione, molto più grande del Titanic. Nel naufragio hanno perso la vita 30 persone, due mancano ancora all’appello.

Il recupero, interamente addebitato alle compagnie di assicurazione, ha un costo stimato tra 300 e 400 M€, più del costo della nave. 
Il piano di recupero prevede di raddrizzare lo scafo facendolo poggiare su una piattaforma sommersa. 

Per poi portarla a galleggiare. 

Prima di entrare in servizio, ogni operatore deve seguire un corso di 4 giorni di arrampicata su roccia. 

La piattaforma è in costruzione, in più moduli, alla Fincantieri di S. Giorgio di Nogaro nell'Adriatico. Con l'acciaio occorrente per la sua costruzione si potrebbero costruire 3 Tour Eiffel. Ogni modulo sarà trasportato su un'enorme chiatta attorno allo stivale fino al Giglio (un periplo di due settimane).
La piattaforma sarà conficcata sul fondale, enormi tubi di intercapedine, di 8 m di diametro, impediranno che i materiali risultanti dalla perforazione si disperdano e inquinino l’area protetta. 

Già ora la nave è imbragata con cavi di acciaio che la ancorano alla terraferma, ma forti mareggiate potrebbero dislocarla. In tal caso scivolerebbe sul fondo, ciò che renderebbe il salvataggio praticamente impossibile. Il tempo è una variabile importante.
Nella posa dei cavi di ancoraggio sono tuttora impegnati 111 operatori subacquei. Lavorano h24 in turni di 45 minuti. 

Come si farà poggiare la Costa Concordia sulla piattaforma? Il progetto consiste essenzialmente nel saldare un’altra “nave” allo scafo del relitto. La nuova “nave” è costituita da enormi parallelepipedi stagni di acciaio. Sono chiamati “sponsoni” e sono alti quanto un palazzo di 11 piani.


9 sponsoni verranno saldati alla fiancata esposta dello scafo a una distanza massima di 5 centimetri l’uno dall’altro.


Poi gli sponsoni saranno agganciati alla piattaforma con robusti cavi d’acciaio. 

Potenti martinetti idraulici faranno ruotare la nave fino a riportarla in assetto. Gli sponsoni verranno riempiti d'acqua per facilitare l'operazione.

Altri 9 sponsoni saranno saldati all’altra fiancata del relitto.


L'acqua verrà pompata fuori dagli sponsoni e la spinta archimedea conseguente al loro svuotamento provocherà un effetto boa che porterà la Costa Concordia in condizione di galleggiamento (come se la nave fosse avvinghiata a un salvagente). Sarà poi trainata al cantiere di rottamazione a una velocità massima di 2 nodi.


Il progetto di recupero della Costa Concordia è affidato alla joint venture italo americana Titan- Micoperi.

Gauss



  

mercoledì 14 dicembre 2011

fotografia come mappa

di Azzurra Scattarella

Anche in occasione dell'incontro con Francesco Zanot del 24 novembre scorso Azzurra Scattarella non ha fatto mancare la bella recensione alla quale ci ha abituato: eccola.
Anche questa volta ringraziamo di cuore l'autrice e gli amici di vorrei :

mercoledì 23 novembre 2011

“L’arte non serve a niente” - Emilio Isgrò tra ironia e provocazione

di Giorgio Casera

questa la recensione della serata che compare nel giornale on-line PD Monza di oggi.
Ringraziamo Giorgio e il PD per l'attenzione.


La provocazione era già evidente nel titolo scelto per la conferenza organizzata da Novaluna all’interno della mostra di antiche stampe all’Arengario, svoltasi il 10 novembre u.s.:

Affermazione che Isgrò ha giustificato col fatto che la creatività, tradizionalmente appannaggio esclusivo dell’arte, è ormai lineamento essenziale di tanti aspetti della vita quotidiana. Così ha accennato alla politica creativa, alla finanza creativa e così via, con chiari ed ironici riferimenti a personaggi e vicende nazionali.

Fatta questa premessa, Isgrò ha presentato una carrellata delle opere più significative della sua lunga carriera, datate dal 1964 al 2010, il cui filo conduttore si può così sintetizzare: ogni opera deve rappresentare allo stesso tempo innovazione, rottura con schemi consolidati, provocazione, per suscitare interesse, proteste, discussione. Alla fine però il risultato è un ampliamento degli orizzonti culturali e, nel caso di Isgrò sicuramente, crescita della società civile.

La più originale forma artistica che Isgrò ha voluto sperimentare è la “Cancellatura”, che così ha voluto definire: "La cancellatura non è una banale negazione ma piuttosto l’affermazione di nuovi significati" oppure “la cancellatura è come lo zero in matematica, chiamato a formare, da solo tutti i numeri e tutti i valori”. Dalla Volkswagen cancellata nel 1964, alla Costituzione cancellata e al "Disobbedisco" con cui ha provocatoriamente presentato la grande installazione "Sbarco a Marsala" davanti a Napolitano, Isgrò ha usato il gesto della negazione del sapere codificato per mettere a nudo contraddizioni, ipocrisie, falsità.

Dice l’artista: “io cancello le parole per custodirle, è un gesto di salvezza. Le mie tecniche di linguaggio espressivo mi consentono di sparire per poi riemergere”.

Delle opere illustrate, tutte egualmente di un certo impatto (cioè positivhttp://www.blogger.com/img/blank.gifamente scioccanti) vorrei seghttp://www.blogger.com/img/blank.gifnalare Brigitte Bardot: particolare ingrandito 147 volte e Karl Marx fuma nel rosso vestito di rosso, opere pienamente in linea con il titolo di questo articolo. Ha citato anche come esperienza fondamentale in America nel 1963, in viaggio per un mese con il presidente Kennedy alla ricerca di fondi elettorali per il partito democratico: un uomo affascinante, lo definisce.

La presentazione completa è presente sul sito di Novaluna e consiglio vivamente di consultarla per avere una panorama completo dello stile, dei contenuti e anche dell’evoluzione dell’artista. Il quale, da buon conferenziere (anche) ha presentato ogni opera riferendo degli aneddoti sul periodo della realizzazione, sui personaggi coinvolti, sia committenti che politici presenti all’inaugurazione.

lunedì 21 novembre 2011

Emilio Isgrò, "L'arte non serve a niente"

di Azzurra Scattarella

Anche in occasione dell'incontro con Emilio Isgrò del 10 novembre scorso gli amici di vorrei hanno voluto dedicarci spazio e attenzione: anche questa volta una bellissima recensione a firma di Azzurra Scattarella, che inseriamo qui con grande piacere. Ringraziamenti vivissimi alla rivista e all'autrice.



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Emilio Isgrò al secondo appuntamento della rassegna "La Città Rappresentata" organizzata da Novaluna all'Arengario di Monza, parla dell'arte, della sua funzione e delle sue opere

Chi di arte ci è vissuto e ci vive ancora, può permettersi il lusso e la retorica di dire che "l'arte non serve a niente", capirete adesso perché.

Settantaquattro anni, Emilio Isgrò è stata una delle figure più attive nel panorama artistico e d'avanguardia dell'Italia dagli anni '60. Siciliano di nascita, trapiantato a Milano dal 1956, Isgrò è stato artista, giornalista, scrittore, drammaturgo, ma soprattutto un grande comunicatore, perché con le sue opere riesce a parlare, nonostante siano state le cancellature a dargli il successo. Nel 1964 Emilio Isgrò ha cominciato a cancellare: testi importanti dai quali ha eliminato frasi e parole, quali la Costituzione o l'Enciclopedia Treccani, stravolgendo il significato degli stessi, oppure immagini vuote o colore su colore, in cui a parlare era una breve didascalia. Emilio Isgrò ha rivoluzionato l'arte visiva ed è stato l'iniziatore delle opere concettuali. La sua teoria delle cancellature, ufficializzata dalla Dichiarazione 1, nasce dal bisogno di eliminare il superfluo, il rumore, l'inutile da una società carica e ridondante di segni, per ritrovare ed esaltare il vero significato delle cose importanti. Questa idea si pone all'interno di una teoria dell'arte concettuale più ampia, esemplificata nella sua poesia visiva, in cui immagini, fotografie, parole e cancellature creano un insieme spiazzante e contestatorio.

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L'Enciclopedia Treccani cancellata da Isgrò

La sua verve polemica non si esaurisce negli anni. Invitato a Monza dall'associazione Novaluna per la rassegna sulla Città rappresentata giovedì 10 Novembre 2011, Isgrò ha deciso di chiamare la sua relazione o conferenza "L'arte non serve a niente". Che detto da lui non vuol dire niente, anzi, afferma negando proprio come le sue opere. Come lui stesso spiega, ha scelto appositamente un titolo provocatorio "perché l'arte dev'essere provocazione, l'arte che si rispetta deve porre problemi". Il motivo è semplice e tautologico: l'arte serve a far sognare la società e a farla crescere. Per far ciò dev'essere disinteressata e senza prezzo, né avere scopi divertenti o di intrattenimento. Anche su questo Isgrò ha parecchio da ridire: sulla politica fatta di barzellette, parolacce e colpi da affabulatore o sulla finanza che è diventata addirittura "creativa". Isgrò si chiede "che razza di mondo è questo?". L'unica cosa creativa deve essere l'arte, nonostante il mestiere dell'artista sia faticoso e pesante, e artisti non si nasce, ma si diventa – a suo parere.

Alcuni l'hanno chiamato rivoluzionario, altri l'hanno voluto includere tra gli artisti di avanguardia. Ma lui risponde così: "Non sono un artista d'avanguardia. L'artista di avanguardia vuol sempre dire qualcosa, imporre significati al mondo: e il nostro mondo, a forza di significare, alla fine non significa più nulla. Io non aggiungo significati alle cose, levo alle cose i loro significati. Tutti i significati, nessuno escluso. Anche così si combattono i tiranni, quelli palesi e quelli mascherati". Insomma, un contestatore, però lo è sempre stato. Anche nel modo di fare le cose più semplici: durante l'esposizione presso l'Arengario mostra diapositive di sue opere celebri in ordine sparso, né cronologico né tematico, illustrandone la creazione e il motivo per via emotiva, seguendo ciò che i ricordi gli suscitano. Si diverte ed affascina quando racconta la storia del suo monumentale Seme D'arancia, posto a Barcellona Pozzo di Gotto, suo paese natìo. Decise di fare quest'opera in onore del prodotto più tipico della sua terra, per segnalare la produttività e la forza di ripresa sella Sicilia: un gigantesco seme d'arancio nel mezzo di un giardino piccolo in uno dei luoghi più degradati della città. Naturalmente, la sua posizione è significativa. Serve a svegliare gli indifferenti. Ora è in causa con il Comune perché l'hanno spostato senza neanche avvisarlo – e poi il Seme non piaceva al nostro ex Presidente del Senato, oltre che a qualche altro ex Ministro conterraneo...

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Certo, non era la prima volta che Isgrò faceva arrabbiare qualcuno con le sue creazioni. Prendiamo la Volkswagen, che gli ordinò il ritiro della sua famosa opera. Il trionfo della meccanizzazione della società, ha fastidiato Volskwagen e Chiesa in un colpo solo. In risposta alla pop art americana, in cui tutto viene moltiplicato, esaltato, colorato, Isgrò presenta il suo Particolare di Brigitte Bardot ingrandito 147 volte o il famosissimo Jaqueline, dove a trionfare è la sua idea di cancellatura, totale: l'immagine non c'è, la tela è vuota. Quest'opera è stata considerata il primo esempio di arte concettuale in Europa e Isgrò la commenta così "la poesia visiva era il tentativo si salvare la parola grazie all'immagine". Capiamo anche il perché della cancellazione della Costituzione, un monito contro quello che non si deve mai dimenticare e cancellare,o la Treccani, simbolo del libro di una cultura che inesorabilmente sta tramontando.

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La Volskwagen di Isgrò

Emilio Isgrò ha costruito opere enormi e semplicissime, ha collaborato ed è stato intimo amico di Arturo Schwarz, a cui vendette uno dei suoi primi libri cancellati; ha lavorato per la CEI per cui ha cancellato la storia del Vitello d'oro e in Turchia, dove ha cancellato ben quattordici codici ottomani. Celeberrima è stata l'allestimento nel 1979, alla Rotonda della Besana di Milano, di Chopin, partitura per 15 pianoforti, in cui l'artista ha immaginato la vita di Chopin oppresso dalla sua stessa fama, dal suo genio e dal suo amore appassionato per George Sand, distribuendo pianoforti e partiture cancellate per motivi paranoici e futili al tempo stesso, ironicamente ideati da Isgrò. Poesia visiva e arte concettuale, parole che insieme fanno paura e non vogliono dire niente, diventano ricche di senso quando le si guarda fatte da Isgrò. La sua è un'arte che comunica direttamente, frutto di uno spirito indomito e attento, pronto a criticare ciò che non va, a scatenare dubbi, a creare connessioni, ad aprire a nuove idee e a fare delle differenziazioni. L'arte serve a cambiare la società e il modo in cui si guardano le cose anche le più semplici, come le parole, che forse dovrebbero essere le prime a essere rivoluzionate. Un compito molto difficile, quello di rivoluzionare il linguaggio, cui probabilmente si preferisce quello di far soldi, commenta sarcasticamente Isgrò, con un tono di amarezza, verso quei giovani per il quale sente di avere una responsabilità. Difatti, l'impegno nella vita sociale dell'arte è sempre stato reale per Isgrò: sostenitore della necessità di comunicare tra pubblico e artisti, nonché tra artisti e artisti, ha partecipato alla Cooperativa degli Artisti nel 1977, e oggi si batte per una politica seria, "fatta di grisaglia", rispettosa e lontana da atteggiamenti ridicoli e da show-business (chissà se Monti l'ha accontentato).

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Il famoso e travagliato Seme d'arancio donato alla città di Barcellona Pozzo di Gotto


Ancora una volta, Isgrò stupisce e affascina, e Novaluna merita un plauso per aver invitato l'artista e organizzato l'evento. Per vedere tutte le opere mostrate da Emilio Isgrò durante l'incontro del 10 novembre, rimandiamo al sito di Novaluna.

Biografia di Emilio Isgrò Nato a Barcellona Pozzo di Gotto (ME) nel 1937, si trasferisce a Milano nel 1956. Fin dagli esordi accompagna la produzione artistica con l'attività di scrittore e poeta. Pubblica in quell'anno la raccolta poetica Fiere del Sud per le Edizioni Arturo Schwarz. Nel 1964 realizza le prime Cancellature, enciclopedie e libri completamente cancellati, con i quali contribuisce alla nascita e agli sviluppi della Poesia Visiva edell'Arte Concettuale. Nel 1966, in occasione della mostra alla Galleria Il Traghetto di Venezia, pubblica Dichiarazione 1, in cui precisa la sua personalissima concezione di poesia come "arte generale del segno". Nel 1972 è invitato alla XXXVI Biennale d'Arte di Venezia, a cui parteciperà anche nel 1978, nel 1986 e nel 1993. Nel 1977 riceve il primo premio alla XIV Biennale d'Arte di San Paolo del Brasile. Nel 1979 alla Rotonda della Besana di Milano presenta Chopin, partitura per 15 pianoforti. Nel triennio 1983-1985 dà l'avvio con la trilogia L'Orestea di Gibellina ai grandi spettacoli della Valle del Belice. Nell'Anno Europeo della Musica (1985) il Teatro alla Scala gli commissiona l'installazione multimediale La veglia di Bach, allestita nella Chiesa di San Carpoforo a Milano. Nel 1990 elabora un nuovo testo teorico dal titolo Teoria della cancellatura per la personale alla Galleria Fonte d'Abisso di Milano. Nel 199 partecipa alla collettiva The artist and the book in twentieth-century Italy organizzata dal MoMA di New York e nel 1994 a I libri d'artista italiani del Novecento alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Nel 1996 Mondadori stampa Oratorio dei ladri. Nel 1998 dona al suo paese natale il gigantesco Seme d'arancia, simbolo di rinascita sociale ed economica dei paesi mediterranei. Nel 2001 inaugura l'antologica Emilio Isgrò 1964-2000 nel complesso di Santa Maria dello Spasimo a Palermo. Nel 2002 espone alla Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento e l'anno seguente al Mart di Trento e Rovereto. Nel 2008 il Centro per l'Arte Contemporanea "Luigi Pecci" di Prato ospita l'importante retrospettiva Dichiaro di essere Emilio Isgrò. Attualmente è in corso la personale Fratelli d'Italia presso il Palazzo delle Stelline a Milano. Vive e lavora a Milano.

martedì 8 novembre 2011

Monza & la Brianza nelle antiche stampe.

di Azzurra Scattarella

In margine all'incontro con Cristina Muccioli del 27 ottobre scorso è comparsa sulla rivista vorrei , che ringraziamo, una bella recensione a firma di Azzurra Scattarella, che pure ringraziamo.
abbiamo chiesto e ottenuto di poterla inserire qui

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Una mostra e un ciclo di conferenze organizzato da Novaluna
per parlare di Monza e delle sue immagini
È stata inaugurata il 22 ottobre presso la prestigiosa sede dell'Arengario di Monza la mostra "Monza & la Brianza nelle antiche stampe", organizzata dall'associazione culturale Amici dei Musei e l'associazione Novaluna.
Collegata alla mostra - molto interessante e ampia, raccoglie stampe e cartografie anche del XIV secolo, esposte in senso antiorario, visitabile dal martedì al venerdì dalle 16 alle 19, il sabato e la domenica anche di mattina –Novaluna ha organizzato un ciclo di incontri, ogni due giovedì alle 21 all'Arengario, sul concetto di immagine della città, sia essa stampata, fotografata o disegnata, della città, chiamando a discettarne professionisti del settore.
Il primo incontro in Arengario, avvenuto il 27 ottobre 2011, con titolo "La città e il paesaggio. Dall'incisione classica all'immagine contemporanea" ha visto salire in cattedra una vecchia conoscenza dell'associazione, la storica dell'arte e professoressa di Etica della comunicazione presso l'Accademia di Brera (nonché collaboratrice di Linus e autrice di diversi libri) Cristina Muccioli.
La serata inizia con la presentazione del presidente Giorgio Crippa e l'arrivo di un cospicuo numero di interessati. L'intervento della Muccioli ha sapore di premessa al ciclo di incontri, sia a causa del suo essere prima conferenziere che per il tema cui si è dedicata.
La Muccioli inizia con i complimenti per l'intelligenza di una mostra così apparentemente demodé (una mostra su incisioni seicentesche? Bah!): se ormai nulla è più possibile creare nel mondo dell'arte (il che non significa che l'arte è morta), brilla e ha decisamente molto senso d'esistere ogni intervento a favore della riscoperta e valorizzazione del passato e delle radici dell'arte stessa. Del resto, l'intero mondo delle incisioni, delle stampe e litografie, è sempre stato denigrato e sottovalutato dall'arte ufficiale, mentre esse rappresentano un patrimonio artistico importante, intrinseco dell'uomo: basti pensare alle incisioni rupestri, primo veicolo dell'espressività umana. Eppure questa tecnica è sempre stata trattata con snobismo, poiché essa si avvale di una macchina, di un 'facilitatore', aspetto che diventa un diminutivo per i critici e gli artisti, e che ne ha impedito la giusta qualificazione.
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In un'affascinante e ricco di citazioni filosofiche (Aristotele in primis) breve tracciato di storia dell'arte incisoria, che nasce con i caratteri mobili e l'invenzione della stampa, Cristina Muccioli regala anche chicche e aneddoti poco conosciuti del mondo artistico, da Canaletto e seguaci, passando per l'Accademia di Brera, rimarcando l'etimologia della parola grafite, la stessa di graffio, nonché di grafia. Avrebbe infatti voluto chiamare il suo intervento "La mano che graffia", sottolineando l'idea di lasciare il segno, di imprimere la propria idea su di un supporto, creando una ferita, la cui cicatrice (su una tela, su un dipinto, su una lastra) altro non è che la cultura stessa.
Una mostra che ha toccato le corde più sensibili del suo amore per l'arte, così dice Cristina Muccioli, e che lascia gli spettatori in attesa di seguire il prossimo incontro, nonché curiosi di riguardare le opere esposte con più accuratezza.

mercoledì 31 agosto 2011

Mario Fumagalli

di alberto

Ancora un lutto, ancora un grande dispiacere.
E' morto Mario Longhi Fumagalli.
Con la sua agenzia, Contemporanea in via Vittorio Emanuele,
uno spazio chiaro e razionale, costruito a sua immagine e somiglianza,
era diventato un punto di riferimento
per la comunicazione e per la grafica in città.




Lo conoscevo di vista per averlo incontrato quasi quotidianamente,
senza peraltro mai scambiarci una parola,
sui treni dei pendolari tra Monza e Milano.
Poi ho avuto la fortunata occasione di collaborare con lui,
e ho avuto modo di apprezzarne le doti professionali e quelle umane,
l'apertura mentale, l'ironia, la grande disponibilità.

La commissione comunale per le festività civili,
di cui facevo parte, mi incaricò di coordinare il lavoro
per la realizzazione di un libro sui deportati monzesi
nei campi di sterminio nazisti.
La parte storica era stata affidata al professor Mantegazza,
mentre Mario aveva avuto l'incarico di curare la parte grafica.
Malgrado le miserrime condizioni economiche
ne nacque un volumetto, Al di là del niente
che mi sembra ancora un risultato esemplare.
















Per Novaluna aveva elaborato, per pura amicizia,
e quando già aveva cominciato a stare poco bene
- forse per prender le distanze dalla malattia -
quello schema di comunicazione coloratissimo e vivacissimo
che ancora oggi utilizziamo per i nostri incontri.
Addio, Mario. E' stato bello conoscerti.