di Dario Chiarino
Nel giugno del 1949 su una bancarella di libraio in piazza Cavour a Milano scoprii un vecchio libro scritto da Jessie White Mario e intitolato “Della vita di Giuseppe Mazzini”, edito da Sonzogno del 1886, formato in quarto e rilegato modestamente. Lo acquistai per una miseria e ne feci dono a mio padre che lo gradì moltissimo e lo aggiunse alla mezza dozzina di opere biografiche che già possedeva su tale argomento.
L’autrice era un’inglese di Portsmouth, moglie di Alberto Mario, e ha rappresentato uno dei più straordinari testimoni del Risorgimento italiano, anche se non mi risulta che se ne parli a scuola e non ho mai visto in Italia una via a lei intitolata.
L’autrice era un’inglese di Portsmouth, moglie di Alberto Mario, e ha rappresentato uno dei più straordinari testimoni del Risorgimento italiano, anche se non mi risulta che se ne parli a scuola e non ho mai visto in Italia una via a lei intitolata.
Questo suo libro è illustrato da ritratti e stampe di insigni artisti dei quali si possono vedere gli originali nel Museo del Risorgimento di Torino.
Tuttavia, quello che mi ha spinto a scrivere di ciò sul blog di Nova Luna è il fatto che nel libro al capitolo che tratta dell’insurrezione delle cinque giornate di Milano si parla di Mazzini a Monza come semplice milite della legione Garibaldi, anche se la sua permanenza nella nostra città fu molto fugace a causa della negativa conclusione dell’insurrezione
Nel libro con le parole di Giacomo De Medici così è descritta la venuta di Mazzini fra i volontari garibaldini, col fucile in spalla insistendo di marciare quale semplice soldato della legione:
“Un evviva generale acclamava il grande italiano e la legione l’affidava con unanime consenso la sua bandiera Dio e popolo; la marcia era faticosissima, la pioggia cadde in torrenti, eravamo inzuppati fino alla pelle. Benché abituato ad una vita di studio e mai in grado di far molto moto, durante quelle marce la sua serenità non lo abbandonò per un istante e malgrado i nostri consigli non volle mai restare indietro né lasciare la colonna. Vedendo uno dei più giovani volontari vestito di tela, lo coprì costringendolo di portare il suo tabarro. Giunto a Monza e sentita la fatale notizia della capitolazione di Milano e sapendo che un corpo numeroso di cavalli austriaci era stato spedito contro di noi, Garibaldi, non volendo esporre la piccola banda a certa morte, diede ordine di concentrarsi, invitandomi con la mia colonna a coprire la ritirata. Sempre inseguito dal nemico e minacciato da forze assai superiori, la colonna mai vacillò, ma restò compatta e tenne il nemico in scacco. Fu in questa marcia piena di pericolo e difficoltà, che la forza d’animo, l’intrepidità, la decisione che Mazzini possiede in alto grado, non mancò mai, anzi egli era l’ammirazione dei più coraggiosi tra noi. La sua presenza, le sue parole, l’esempio del suo coraggio animava i nostri giovani soldati, che inoltre erano fieri di essergli compagni in pericolo. La sua condotta è stata prova che alle qualità altissime di uomo politico egli aggiunge il coraggio e l’intrepidità del soldato.”
Da Monza la legione di Garibaldi marciò fino a Como e lì la raggiunse la notizia dell’armistizio e la fine di un’illusione.
Il fatto storico è illustrato nel libro da un disegno di Giacomo Mantegazza.
Tuttavia, quello che mi ha spinto a scrivere di ciò sul blog di Nova Luna è il fatto che nel libro al capitolo che tratta dell’insurrezione delle cinque giornate di Milano si parla di Mazzini a Monza come semplice milite della legione Garibaldi, anche se la sua permanenza nella nostra città fu molto fugace a causa della negativa conclusione dell’insurrezione
Nel libro con le parole di Giacomo De Medici così è descritta la venuta di Mazzini fra i volontari garibaldini, col fucile in spalla insistendo di marciare quale semplice soldato della legione:
“Un evviva generale acclamava il grande italiano e la legione l’affidava con unanime consenso la sua bandiera Dio e popolo; la marcia era faticosissima, la pioggia cadde in torrenti, eravamo inzuppati fino alla pelle. Benché abituato ad una vita di studio e mai in grado di far molto moto, durante quelle marce la sua serenità non lo abbandonò per un istante e malgrado i nostri consigli non volle mai restare indietro né lasciare la colonna. Vedendo uno dei più giovani volontari vestito di tela, lo coprì costringendolo di portare il suo tabarro. Giunto a Monza e sentita la fatale notizia della capitolazione di Milano e sapendo che un corpo numeroso di cavalli austriaci era stato spedito contro di noi, Garibaldi, non volendo esporre la piccola banda a certa morte, diede ordine di concentrarsi, invitandomi con la mia colonna a coprire la ritirata. Sempre inseguito dal nemico e minacciato da forze assai superiori, la colonna mai vacillò, ma restò compatta e tenne il nemico in scacco. Fu in questa marcia piena di pericolo e difficoltà, che la forza d’animo, l’intrepidità, la decisione che Mazzini possiede in alto grado, non mancò mai, anzi egli era l’ammirazione dei più coraggiosi tra noi. La sua presenza, le sue parole, l’esempio del suo coraggio animava i nostri giovani soldati, che inoltre erano fieri di essergli compagni in pericolo. La sua condotta è stata prova che alle qualità altissime di uomo politico egli aggiunge il coraggio e l’intrepidità del soldato.”
Da Monza la legione di Garibaldi marciò fino a Como e lì la raggiunse la notizia dell’armistizio e la fine di un’illusione.
Il fatto storico è illustrato nel libro da un disegno di Giacomo Mantegazza.
Dario
2 commenti:
grazie mille, dottor Chiarino!
e questa volta ha lasciato uno spiraglio
per le mie stupidaggini:
oggi le strade, chieda pure alla signora Moratti ,
si intitolano ai Grandi Statisti del recente passato.
il risorgimento risulta un po' out.
...la marcia era faticosissima...
sono l'ora e la stanchezza oppure è faticosissima
anche la prosa di Giacomo De Medici?
grazie ancora, buona notte
ac
Caro Colombo, la pensiamo esattamente allo stesso modo per ciò che riguarda l'intitolazione delle vie. Mala tempora currunt!
Il Medici fu un soldataccio che partecipò a tutte le guerre d'indipendenza, alla difesa della repubblica romana e alla spedizione dei mille. È vero che fu anche prefetto di Palermo e Senatore del Regno, ma ci sono e ci sono stati senatori di diversi tipi a cominciare forse dal cavallo di Caligola.
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